Sant’Efisio, San Pasquale, sant’arrangiati, sono i santi veri e immaginari legati da una sorte che unisce la memoria dei bombardamenti subiti da Cagliari e Alghero nella primavera del 1943.
I “potenti mezzi di difesa” messi in campo per proteggere le città e le popolazioni residenti, evidentemente furono insufficienti. Forse perché, dico io, agli otto milioni di baionette vantate dal regime fascista, non hanno aggiunto le innumerevoli pattadesi, arburesi, leppas, arresoias, arresolzas, di coltelli insomma che stazionavano da sempre nelle tasche dei sardi.
Anche sui potenti mezzi tanto decantati, nasce qualche sospetto.
E così, quella volta, a proteggere le città scese in campo un santo molto popolare in Sardegna… sant’arrangiati, accompagnato dall’Italico slogan:” Dio stramaledica gli Inglesi”. Come abbiamo visto, queste precauzioni e i buoni propositi non hanno prodotto effetti salvifici per le nostre città e i suoi abitanti. Tanto per fare un confronto, il nemico di allora, gli Inglesi si difesero dagli attacchi aerei della Lufthwaffe ricorrendo ad uno stratagemma alquanto singolare ma efficace e i Cagliaritani lo copiarono a modo loro.
I sistemi radar dovevano ancora essere messi a punto, quindi non ce ne erano, ma per “sentire” il rumore degli aerei nemici in volo di avvicinamento sopra il canale della Manica, gli Inglesi costruirono enormi orecchie in cemento armato, sulla costa sud dell’Inghilterra davanti alla Francia occupata dai Tedeschi.
Queste “orecchie in cemento” molto grandi, erano schermi a forma di parabola con un foro al centro che conteneva un sensibilissimo microfono.
Il microfono raccoglieva l’ancora impercettibile (per l’orecchio umano) rumore lontano, veniva amplificato e analizzato per valutarne il pericolo.
Una invenzione rivoluzionaria neanche tanto recente, gli antichi greci e poi i romani, sfruttavano alla perfezione questa particolarità, senza far uso del microfono.
E ora parliamo dei “nostri potenti mezzi”. Anche a Cagliari, per sentire con largo anticipo l’avvicinarsi dei bombardieri inglesi che arrivavano dal nord Africa usavano l’orecchio, questa volta quello vero in carne e cartilagine.
Il cemento era finito, bhò e basta. Arrangiatevi
Presumo si chiamasse Efisio, anzi Effisio per rispetto del Campidanese, un ragazzino ancora adolescente, leggero data la dieta, facilmente collocabile ovunque ci fosse un posto idoneo all’ascolto e facilmente asportabile. In caso di fuga. Si scopri, il bisogno aguzza l’ingegno, che il ragazzino aveva un udito formidabile in compensazione di una carenza. Il bimbo era cieco dalla nascita.
Sentiva il rombo degli aerei in avvicinamento molto prima che le altre persone ne potessero percepire il rumore. Avuta l’informazione certa la gente si rifugiava nelle capienti grotte, per ripararsi dalle bombe, gli ipogei di Santa Restituita, in parte naturali ed in parte scavate molti secoli prima.
Così che gli avvertimenti di Efisio erano tenuti in gran considerazione nel ambito del quartiere in cui viveva e del vivo riconoscimento dei sopravvissuti a quella carneficina.
Ad Alghero 17 maggio 1943, la nit de San Pasqual, gli accadimenti presero una altra piega.
La confusione era tanta pari solo all’incertezza, chi poteva si trasferiva in campagna, in molti rimasero in città, correva qualche voce di possibili bombardamenti sopra l’aeroporto che era distante, la città poteva essere risparmiata, la scarsità delle postazioni di difesa rinforzava questa convinzione. C’era una unica mitragliatrice pesante, con una sola canna, piazzata sopra la torre del porto, quella dove ora c’è la madonna.
Fino a pochi anni fa erano ben visibili sulla sommità della torre, sul pavimento, al centro, i ferri nel cemento che ancoravano il piede metallico su cui poggiava l’arma.
In quella notte di San Pasquale una donna era in preda alle doglie del parto, non poteva muoversi, le voci e le paure che correvano di bocca in bocca a lei arrivavano ovattate, lontane quasi non la riguardavano, aveva altro da badare.
Il travaglio era in corso, se si fosse spostata, poteva partorire sulle scale o in strada, quel letto era la unica certezza. Intanto il rumore degli aerei si faceva sempre più forte fino ad essere superato dai boati delle bombe che deflagravano tutto intorno alla casa e al letto che vibravano. La città si stava trasformando, muri che crollavano con un rumore cupo, l’aria irrespirabile per un misto di polvere che sapeva di calce e di fumo acre. Il buio squarciato dalle fiamme delle esplosioni, l’inferno era quello e quella era l’anticamera della morte.
Ma uno spezzone, una bomba, indirizzato da chissà quale mano, dopo essere stato sganciato dal bombardiere, lungo la discesa nel cielo mantenne l’assetto orizzontale. Scendeva di pancia, anziché di punta dove si trovava la spoletta che innescava l’esplosione dopo l’urto.
Sfondò il misero e fragile tetto fatto di tegole sarde, di terracotta, il cannizzato di canne oramai marce tra un travone e l’altro che le sostenevano.
Sfondò “la bovira”la volta della stanza, fatta con assi di legno piatto tutto tarlato ma sempre “ambrachinat de calzina”, imbiancato a calce.
Lo spezzone , la bomba, franata dai diversi ostacoli che aveva trapassato aveva perso velocità e si era adagiata, sempre di pancia, sul “pagliò", fatto da un grosso saccone riempito a foglie secche di granoturco. Il materasso.
Dai racconti familiari, pare, che le due nuove arrivate nella stanza si fossero date un appuntamento. Una taciturna e immobile l’altra vociante e scalciante.
I soccorsi arrivarono la mattina, la mamma e la bambina continuarono la loro vita e molti anni a seguire, la bomba fu disinnescata e portata via.
Ora io immagino cosa può essere successo, la bomba tolta la spoletta, altro non era che un grosso contenitore pieno di esplosivo che poteva essere utilizzato alla bisogna, una manna caduta dal cielo, nelle mani di una audace categoria di pescatori.
E ad Alghero negli anni successivi alla notte di San Pasquale di bisogno ce ne fu in abbondanza...