19ª Tappa Giro 2025 - La Cavalcata Solitaria di Prodhomme - Quando il Gregario Diventa Re

Quando il Gregario Diventa Re

Tra Biella e Champoluc si consuma un'epopea che richiama alla memoria le grandi cavalcate solitarie del ciclismo d'antan. Nicolas Prodhomme, uomo di fatica della Decathlon Ag2r La Mondiale, dipinge sulla tela alpina una delle più belle fughe che questo Giro d'Italia 2025 abbia offerto agli appassionati. La frazione si annuncia subito movimentata quando, appena lasciata la pianura biellese, il plotone affronta il Croce Serra. Sono i primi chilometri di una giornata che promette battaglia, con i suoi 166 chilometri e quasi cinquemila metri di dislivello. La EF Education-EasyPost lancia le prime offensive, seguita a ruota da Jan Tratnik, mentre Wout van Aert si piazza nelle posizioni che contano. È il preludio di una sinfonia che durerà oltre quattro ore e mezza. Dal caos iniziale emerge un quartetto composto da Mattia Cattaneo, Georg Steinhauser, Bart Lemmen e lo stesso Prodhomme. Ma la corsa è giovane e dietro ferve l'attività: scattano in trenta, poi in venti, infine si forma un gruppo di fuga che conta nomi illustri. Van Aert impone il ritmo sulla salita, Tiberi, Bilbao, Bardet si muovono con la determinazione di chi sa che le Alpi non perdonano indugi. Il gruppo di battistrada si assottiglia chilometro dopo chilometro. Le pendenze del Col Saint-Pantaléon mietono vittime illustri: van Aert alza bandiera bianca, Pedersen perde contatto, anche Moscon deve cedere. È la montagna che fa la selezione, spietata come sempre nelle grandi corse a tappe. Ed è proprio sulla salita di prima categoria che si delinea il copione della giornata. Prodhomme transita per primo al GPM, conquistando quaranta punti preziosi per la classifica degli scalatori, ma soprattutto intuendo che questo può essere il momento della sua vita. Dietro, Carlos Verona e Antonio Tiberi provano a tenere il passo, ma il francese della Decathlon ha già negli occhi quella luce particolare che contraddistingue i predestinati. La discesa verso valle è un momento di riflessione tattica. I battistrada si guardano, si studiano, consapevoli che davanti li attende l'Antagnod, ultima asperità prima dell'arrivo in discesa di Champoluc. È qui che Prodhomme gioca la carta decisiva: quando mancano ventotto chilometri al traguardo, l'alsaziano allunga con la determinazione del disperato. Non è uno scatto impetuoso, ma un'azione ragionata, costruita metro dopo metro. Dietro, il gruppo dei favoriti per la vittoria finale si avvicina inesorabilmente. Isaac Del Toro, saldamente in maglia rosa, può contare su una squadra UAE Team Emirates perfettamente oleata. Ma è Richard Carapaz a movimentare la situazione quando mancano poco più di sei chilometri: l'ecuadoriano, sempre imprevedibile nelle grandi occasioni, forza l'andatura seguito a ruota dal leader della classifica generale. L'attacco di Carapaz costringe tutti i big a scoprire le carte. Del Toro risponde prontamente, Simon Yates prova a seguire ma la gamba non gira come dovrebbe. Derek Gee si attacca al trenino, così come Pellizzari che però pagherà cara la sua audacia con una caduta nell'ultima curva che lo priverà di secondi preziosi. Ma davanti, solitario come un monaco del deserto, Prodhomme continua la sua opera d'arte. Il vantaggio oscilla intorno al minuto, abbastanza per sognare ma non troppo da permettersi rilassamenti. Gli ultimi chilometri sono un calvario glorioso: le gambe bruciano, il fiato si fa corto, ma la volontà è di ferro temprato. Quando imbocca l'ultimo chilometro, Nicolas Prodhomme ha già vinto. Non solo la tappa, ma una battaglia contro se stesso, contro il destino che troppo spesso relega i gregari nel ruolo di comparsa. La sua è una vittoria che parla di sacrificio quotidiano, di chilometri macinati al servizio degli altri, di opportunità finalmente colta al momento giusto. Il francese taglia il traguardo di Champoluc con cinquantotto secondi di vantaggio su Del Toro e Carapaz, giunti appaiati dopo aver dato vita a un duello che ha infiammato gli ultimi chilometri. Il messicano conserva la maglia rosa con margini rassicuranti, ma l'ecuadoriano della EF si conferma l'uomo più pericoloso in vista del gran finale. Tra i big della classifica generale, le distanze restano sostanzialmente immutate. Simon Yates perde qualche secondo di troppo, Derek Gee viene rallentato dalla caduta di Pellizzari, ma la vera battaglia per il podio finale si deciderà nelle prossime, decisive frazioni alpine. Ma oltre alla poesia della vittoria di tappa, questa frazione alpina lascia in eredità verdetti quasi definitivi per la classifica generale. Del Toro dimostra ancora una volta di possedere non solo le gambe del campione, ma soprattutto quella freddezza che contraddistingue i futuri vincitori dei Grandi Giri. Quando Carapaz accelera, il messicano risponde senza scomporre il ritmo del respiro, annullando ogni velleità dell'ecuadoriano con una naturalezza disarmante. L'ecuadoriano della EF, dal canto suo, conferma di essere l'unico in grado di impensierire la maglia rosa, ma i quarantatré secondi di ritardo sembrano ormai un fossato incolmabile. La sensazione è che Carapaz, pur conservando intatto il suo istinto da attaccante, non abbia più quella marcia in più necessaria per scardinare le certezze di Del Toro a meno che non arrivi la crisi anche per il leader nella tappa di domani. Dietro di loro si consuma il dramma silenzioso degli sconfitti. Simon Yates, quel Yates che negli anni passati ha fatto tremare i migliori sulle salite più dure, oggi mostra il volto di un uomo che ha smarrito la strada per la vittoria. La sua impossibilità di dare seguito all'accelerazione decisiva, racconta di gambe che non girano più come un tempo e, forse, di un coraggio che si è smarrito nei meandri della prudenza. Da Derek Gee in giù, la classifica generale sembra aver già emesso i suoi verdetti. Mancano di audacia, di quella follia lucida che serve per vincere i Grandi Giri. Si accontentano di limitare i danni quando invece dovrebbero attaccare con la disperazione di chi non ha nulla da perdere, come tenta inutilmente di fare nell’ultima curva Giulio Pellizzari, cadendo rovinosamente sull’asfalto. Il Giro d'Italia 2025, per loro, è già finito a due tappe dalla conclusione a meno che non accada qualcosa di clamoroso e ad oggi impensabile. La diciannovesima tappa resterà nella memoria per la cavalcata solitaria di un uomo che ha saputo trasformare un momento di gloria in eternità. Prodhomme ha dimostrato che nel ciclismo, sport di fatica e di sogni, anche il più umile dei gregari può diventare, per un giorno, il re della montagna.

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