Cagliari, 30 anni dopo si riapre il caso di Manuela Murgia: l’ex fidanzato indagato per omicidio

Aveva sedici anni, gli occhi ancora pieni di sogni e un silenzio improvviso che quel sabato mattina del 1995 non lasciò presagire nulla di buono. «Io e mia sorella Anna stavamo andando a scuola, lei ci diede le spalle e non salutò. Non era da lei». Così Elisabetta Murgia ricorda l’ultima immagine di Manuela, sua sorella minore, ritrovata priva di vita il 5 febbraio di trent’anni fa nel canyon di Tuvixeddu, a Cagliari.

Il caso fu archiviato come suicidio, un volo di trenta metri tra i ruderi della necropoli punica. Due volte chiuso, due volte respinto il dolore della famiglia che non ha mai creduto a quella verità. Ora, tre decenni dopo, il fascicolo si riapre. E lo fa con un nome sul registro degli indagati: Enrico Astero, 54 anni, all’epoca fidanzato di Manuela.

A chiedere e ottenere la riapertura è stata la famiglia, che lo scorso gennaio ha depositato una nuova perizia medico-legale. Uno studio che ipotizza la presenza di una violenza sessuale e che ha rimesso in discussione l’intero impianto originario dell’inchiesta. A sostegno dell’ipotesi, il ritrovamento – nel mese di aprile – degli indumenti della giovane, rimasti per trent’anni custoditi nei locali dell’ex Istituto di Medicina Legale dell’Università di Cagliari, in via Porcell, oggi dismessi.

Il 4 giugno prossimo sarà una data decisiva: gli abiti verranno sottoposti a esame comparativo con il DNA dell’ex fidanzato. Enrico Astero era già stato ascoltato a suo tempo, ma non vennero rilevati elementi tali da supportare l’accusa. Oggi, a far pendere l’ago della bilancia verso un’ipotesi diversa è la perizia depositata da un pool di consulenti di fama nazionale, già coinvolti nei casi di Yara Gambirasio e Garlasco.

Il nome di Manuela Murgia torna dunque a imporsi su quelle cronache che l’avevano relegata nel limbo dei misteri sepolti. E con esso, la voce di chi non ha mai smesso di chiedere giustizia. Una sorella, una madre, una famiglia che per trent’anni ha tenuto accesa la fiamma della memoria.

Quel giorno, racconta Elisabetta, Manuela «non salutò». Una piccola anomalia, un gesto mancato. Ma a volte basta un dettaglio fuori posto per cambiare la storia. O almeno per tentare, dopo tanto tempo, di ricostruirla davvero.

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