Caro ladro, se mi rubi la macchina ti chiedo la cortesia di farmela ritrovare subito. Io sono il cappellano dell’ospedale civile e ho bisogno di questa macchina per far visita ai malati o per dare un ultimo conforto a chi sta per lasciarci, anche di notte. Grazie, don Gallo”. Era questo il tenore di un bigliettino, scritto a mano, che si trovava sul cruscotto della Fiat 500 di don Gallo. Esso spiega bene l’indole di questo prete, a cui spesso veniva rubata la 500, ma anche fatta ritrovare in buone condizioni. Con noi bambini del centro storico parlava rigorosamente in algherese, anche perché ancora non conoscevamo nessun’altra lingua! Abitava all’inizio di via S.Erasmo, io verso la fine, e oggi gli è stata dedicata quella che per tutti era “la sede del parroco”, antistante l’omonima piazzetta. Dopo Pasqua, come al solito, don Gallo si dedicava alla benedizione delle case, di tutte le case del centro storico, all’epoca intensamente abitato. Aveva anche bisogno di un aiuto, cioè di qualcuno che gli tenesse il secchiello dell’Acqua Santa e l’aspersorio, questo durante gli spostamenti da un portone all’altro e da una scala all’altra. Questo qualcuno in genere era un ragazzino di strada, e tra i tanti anche io. Non era esattamente fare il chierichetto, e io lo preferivo, perché non eravamo obbligati a indossare la tunica nera e la cotta, come a Messa. Per essere più precisi: don Gallo non ci obbligava. Ricordo ancora la prima volta che mi chiamò per accompagnarlo: “Diu a ta mare si vol que venguis a benaì les casas. Si ta diu de si trobata demà a les deu a Santa Maria”. Sapeva già che mia madre avrebbe detto di si, per due ragioni: la prima perché se ti chiamava don Gallo era un privilegio, la seconda perché almeno per un paio d’ore mi sapeva non impegnato nelle mie solite monellerie. Ad avvisare il rione che stava passando don Gallo ci pensavano le donne: mirau que està passant don Gallo per la benediciò. Alcune lo urlavano dalla finestra, altre dalla strada, altre ancora, affaccendate in baturagliumini, si affrettavano a rientrare nelle loro case. Di solito trovavamo le porte aperte e non era necessario bussare. Si entrava in tutte le camere e con la maestria di un direttore d’orchestra don Gallo agitava l’aspersorio quasi come una bacchetta. Se stavo un passo in avanti l’Acqua Santa, per l’ennesima volta, bagnava anche me, che ormai mi ero rassegnato a fare da bersaglio: “ La miseria, un’altra arrujada”. Pronunciava formule a me incomprensibili, in una lingua incomprensibile, una cantilena sempre uguale e monotona nel vero senso della parola; solo più tardi seppi si trattava di latino! Si consolavano gli anziani malati, si lasciavano due parole di conforto a chi si trovava in difficoltà, si consegnava una immaginetta de Nostra Senyora de Valverd, infine si raccoglieva la promessa della recita quotidiana della preghiera sul retro. Chi non sapeva leggere non era dispensato: l’Ave Maria a memoria. Prima di uscire tutti lasciavano una piccola offerta in monete, spiccioli che venivano depositati all’interno del secchiello dell’Acqua Santa, que carrerò després de carrerò sa feva sempre més pesant. Quando i soldi erano di carta don Gallo li ritirava di persona, meglio nelle sue tasche che a mollo nell’Acqua Santa! Chi invece non aveva soldi da offrire metteva a disposizione quello che gli sembrava più degno, per esempio una mela, due uova, piriquitos o pane all’anice. Tutte cose che non potevano stare nel secchiello dell’Acqua Santa, più o meno per le stesse ragioni dei soldi di carta, e non avete idea di quanto dovevano essere grandi le tasche dei miei pantaloni corti per contenere questo tipo di offerte! Ricordo che, girando un pianerottolo, inavvertitamente mi appoggiai sul muro, proprio sul fianco della tasca che conteneva dos ous. Non sto a dirvi cosa capitò perché basta immaginarlo, è risaputo infatti quanto le uova siano fragili. Vidi però che don Gallo non disse niente, quindi pensai che non avesse sentito quel classico rumorino de ous esquitxats. Nel mentre percepivo che una specie di liquido colloso inzuppava la mia tasca e la gambera, e scendeva giù sino alle scarpe. Per non farlo notare a don Gallo gli mostravo sempre l’altro fianco, tambè a cost de ma prendre l’arrujada. Contemporaneamente studiavo la risposta per giustificare la mia sbadataggine, perché alla fine del giro avrei dovuto consegnare le uova, irrimediabilmente spalmate sulla mia gamba, anzi ormai asciugate, visto che il tuorlo formava una crosticina fastidiosa. Finalmente il giro finisce e si rientra alla base, cioè a Santa Maria. Don Gallo affonda la sua mano nel secchiello dell’Acqua Santa e raccoglie tanti spiccioli quanti quella mano riusciva a contenerne. Aquesta moneda és tua. Io ringraziai, perché così cresceva il mio gruzzoletto. Ricordo ancora che le mie uscite con don Gallo, quell’anno, mi fruttarono più di 300 lire. Ora vi state chiedendo: “E le uova?”. Tranquilli, non me ne sono dimenticato. Don Gallo prima di salutarmi, e con lo stile di chi non voleva mettermi in difficoltà, mi disse: los ous portatals en casa!