Casa Zapata, la nuova scoperta che riscrive la quotidianità nuragica

A Barumini, nel cuore della Marmilla, sotto i pavimenti storici di Casa Zapata, riaffiora un pezzo di Sardegna che ancora sfugge ai manuali, ma che ora si lascia scrutare con occhi nuovi. A rivelarlo è la recente campagna di scavo condotta all’interno del monumento di Nurax’e Cresia, il nuraghe inglobato nella seicentesca residenza aristocratica degli Zapata, oggi polo museale gestito dalla Fondazione Barumini Sistema Cultura. Gli archeologi hanno portato alla luce un eccezionale complesso di reperti dell’età del Bronzo, sorprendente per quantità, stato di conservazione e valore interpretativo, che contribuisce ad arricchire il mosaico della civiltà nuragica.

La scoperta si concentra nella torre centrale del nuraghe, all’interno di una camera un tempo coperta da una tholos, la tipica volta a falsa cupola delle architetture nuragiche. Qui, in una delle due nicchie murarie, è stato rinvenuto un ampio accumulo di materiali ceramici: olle, tegami, ciotole e tazze, oggetti d’uso quotidiano rimasti sigillati sotto strati di crollo e di terra, come se un giorno la torre fosse stata lasciata in fretta e poi dimenticata.

«Non ci aspettavamo un complesso così integro e stratificato – spiega la direttrice dello scavo, Gianfranca Salis, della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio –. La torre era stata profondamente rimaneggiata in età storica, con un riutilizzo che ha trasformato anche la sua struttura originaria. È in quel periodo che fu realizzato un cunicolo sotterraneo, in parte scavato nella roccia e in parte costruito, per raggiungere direttamente il pozzo d’acqua. Una modifica ardita, priva di confronti noti nel resto dell’isola».

Ma è sotto le modifiche storiche che si cela la fase più antica e affascinante: quella della “bella età del nuraghe”, come la definiva Giovanni Lilliu. Proprio in questi livelli è emersa la testimonianza di una vita vissuta intensamente, fatta di focolari, pasti, gesti quotidiani. Oggetti da cucina abbandonati nella fretta o nella necessità, testimonianza di un tempo che, prima di essere sepolto, è stato vissuto con intensità.

Per Caterina Lilliu, responsabile scientifica del Polo museale, si tratta di una scoperta che «non solo arricchisce il patrimonio archeologico, ma rinnova le prospettive di valorizzazione dell’intero museo. I reperti saranno studiati a fondo, ma già ora possiamo dire che rappresentano una fonte preziosa per comprendere meglio la vita e l’organizzazione di questo insediamento nuragico».

Emanuele Lilliu, presidente della Fondazione Barumini Sistema Cultura, sottolinea invece il valore del progetto nel suo complesso: «Casa Zapata non è un museo immobile, ma un cantiere di conoscenza. Qui, la ricerca dialoga con il pubblico: i visitatori vedono gli archeologi al lavoro, assistono in diretta alla riscoperta del passato. È la dimostrazione che, quando l’archeologia è radicata nel territorio e sostenuta con continuità, può generare valore culturale e turistico di portata internazionale».

Un valore che il Comune di Barumini intende custodire e rilanciare. Il sindaco Michele Zucca ribadisce con convinzione: «Queste scoperte ci ricordano quanto sia ancora inesplorato il nostro territorio. Ma soprattutto ci consegnano una responsabilità: quella di far crescere la nostra comunità attraverso la cultura, che è motore di sviluppo sostenibile, identità e consapevolezza».

Il sito di Nurax’e Cresia, posto a pochi passi dal celebre Su Nuraxi, è dunque tutt’altro che una realtà minore: dialoga con esso, lo completa, lo arricchisce di nuovi interrogativi e risposte. Una nicchia colma di stoviglie può sembrare un dettaglio, ma nella pazienza degli scavi si trasforma in racconto: non solo di cosa si mangiava e come si cucinava, ma anche di come si abitava, si lavorava e si trasformava lo spazio nei secoli.

E mentre le mani degli archeologi rimuovono con cura millimetri di terra, la Sardegna, ancora una volta, mostra di non aver detto tutto. Anzi, forse il meglio deve ancora emergere.

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