Sciopero generale del 22 settembre: piazze piene a Cagliari, ma la guerra si decide altrove

Stamattina in Piazza del Carmine è partito il corteo dello sciopero generale proclamato dall’USB. Una mobilitazione di 24 ore che ha unito lavoratori dei trasporti, della scuola, delle fabbriche e della logistica dietro gli slogan “contro la guerra e per la Palestina”. Il percorso ha attraversato il centro cittadino fino ai portici del Consiglio regionale, dove sono previsti gli interventi finali.

Le rivendicazioni restano quelle annunciate nel manuale diffuso nei giorni scorsi: contro la complicità del governo italiano nel conflitto, contro l’economia di guerra e i miliardi spesi in armamenti, per salari e pensioni oggi al di sotto dell’inflazione, per difendere sanità, scuola e servizi pubblici. In Sardegna lo sciopero assume un valore particolare: qui convivono fabbriche di bombe come la RWM di Domusnovas, servitù militari e basi aeree utilizzate dagli alleati.

«Ogni euro speso in armi è un euro tolto a sanità, scuola, pensioni, lavoro e futuro», ripetono gli organizzatori. “Blocchiamo tutto”, la parola d’ordine. Ma la domanda è sempre la stessa: davvero uno sciopero dei bus a Cagliari fermerà i droni su Gaza?

Due giorni fa osservavo che “sventolano bandiere, si votano ordini del giorno, si sciopera nei trasporti. È il rito occidentale della coscienza civile: alzare la voce quando le bombe cadono su Gaza. Ma non basta a cambiare la traiettoria di un conflitto che non è scritto nelle piazze di Selargius o nei corridoi del Campidoglio, bensì nei rapporti di forza tra potenze e nei calcoli dei governi”.

Il quadro resta immutato: Israele sotto l’ombrello americano e guidato da un governo sempre più radicale; Hamas che riceve appoggi indiretti da potenze ostili a Washington, Qatar in testa; Teheran che usa il conflitto come leva strategica; un’Europa che resta spettatrice divisa e irrilevante. L’Italia si spacca tra bandiere palestinesi e fedeltà atlantica, ma la sostanza della guerra non cambia.

Le piazze sarde alzano la voce, come quelle di Roma o Milano. Ma la guerra, quella vera, continuerà a decidersi tra le colline di Gaza, nei corridoi della Knesset e nei palazzi di Doha. Non nei cortei di provincia.

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