La Sardegna sta affrontando la sua crisi più silenziosa ma più spietata: quella demografica. L’ultimo report ISTAT sul bilancio della popolazione per il 2024 consegna all’Isola un primato amaro: ultima in Italia per natalità, con una media di 0,91 figli per donna, e sotto il 10% di popolazione under 15. Una fotografia che le ACLI regionali hanno rilanciato con forza, parlando di un’emergenza strutturale che va oltre i numeri, e che intacca le fondamenta sociali, economiche e culturali del territorio.
Il dato più evidente è la perdita di popolazione: tra il 2023 e il 2024 la Sardegna ha lasciato sul campo un numero di abitanti pari alla popolazione di Macomer. L’anno precedente era toccato a Dorgali. In otto anni, dal 2016 al 2024, i residenti in meno sono stati oltre 88.000, quasi come se l’Isola avesse perso una città media ogni anno.
Ma è la struttura stessa della popolazione a preoccupare: i morti sono più del doppio dei nati vivi, la popolazione attiva cala progressivamente, mentre cresce quella anziana. Secondo il presidente regionale delle ACLI, Mauro Carta, questo squilibrio produce un effetto a catena: meno lavoratori significa meno contribuenti, e quindi maggiore fragilità del sistema di welfare pubblico.
Il saldo migratorio interno è negativo: i giovani, soprattutto quelli qualificati, lasciano l’Isola. E anche se il saldo migratorio con l’estero è positivo, non basta a compensare le perdite del saldo naturale e dell’esodo interno. A livello comunale, la desertificazione demografica è lampante: 132 comuni sardi hanno oggi meno di 1.000 abitanti, e il numero è in costante aumento.
Le cause? Salari troppo bassi, carenza di prospettive, ritardi nella formazione professionale, e una difficoltà strutturale nel costruire un futuro che non costringa le nuove generazioni a partire. “Con queste retribuzioni si emigra o si rimanda all’infinito la decisione di mettere su famiglia”, osserva Carta.
Le ACLI propongono un pacchetto di misure a medio e lungo termine, che vanno ben oltre i bonus una tantum:
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Una lotta serrata al lavoro povero, soprattutto nei settori legati agli appalti pubblici, come sanità e servizi.
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Un piano per l’innovazione tecnologica, a partire dall’Einstein Telescope e da investimenti concreti nell’intelligenza artificiale.
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Un sistema stabile di formazione professionale di primo livello, per ridurre la dispersione scolastica e offrire reali opportunità ai giovani.
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Una visione strutturata del lavoro di cura, che formi personale locale o attiri famiglie dall’estero, in un’ottica non emergenziale ma sistemica.
In Sardegna non si nasce più e si parte ancora troppo. Le culle vuote non sono solo un dato ISTAT: sono il sintomo di un sistema che ha smesso di attrarre vita, lavoro e futuro. Il tempo per invertire la rotta non è ancora scaduto, ma ogni anno perso si misura ormai non in cifre, ma in assenze.