Una dichiarazione asciutta, da manuale della prudenza istituzionale, quella pronunciata ieri da Piero Comandini, presidente del Consiglio regionale sardo, a commento della sentenza che coinvolge Alessandra Todde, governatrice della Sardegna. E proprio per non lasciare adito a dubbi, il capogruppo del Pd ha detto ciò che la grammatica della politica impone in questi casi: “La sentenza del Tribunale di Cagliari è solo un primo grado di giudizio che pone la Presidente Todde nella condizione di poter far valere le proprie ragioni e la correttezza del suo operato all'interno di un altro grado di giudizio.” Tradotto: per ora nessuno si muove. Nessuno crolla. E, men che meno, si vacilla.
Il Consiglio regionale – assicura Comandini – “è legittimato a continuare il suo lavoro nel pieno delle sue funzioni”. E lo dice non con tono bellicoso, ma con la fermezza che ci si aspetta da chi deve tenere insieme le crepe dell’Aula mentre i corridoi sussurrano e gli avversari affilano le lame.
L’esponente democratico aggiunge che “sarà sempre rispettato il ruolo dei giudici”, precisando che si attenderà “la conclusione della vicenda giudiziaria lavorando, con sempre maggiore impegno, per il bene della nostra Sardegna”. Nessuna fuga in avanti, nessuna invettiva. Solo una compostezza forzata, come si addice a chi sa che la campagna elettorale è finita, ma la battaglia politica, no.
C'è poi, nella chiusa del discorso, il tentativo di alzare l’asticella: “Questa vicenda dimostra che la legge sulla rendicontazione è ormai obsoleta. Oggi, a 32 anni dalla sua entrata in vigore, con il Presidente della Regione eletto a suffragio universale, rischia di compromettere la volontà popolare.” Un messaggio preciso: le regole vanno aggiornate, perché la legittimità del voto popolare – quella che ha portato Todde al governo – rischia d’essere minata da norme datate.
Ma il dato politico resta: il centrosinistra sardo fa quadrato. Il Pd difende la sua presidente. E il Consiglio, almeno per ora, tira dritto.
Fino a quando? Dipenderà, come sempre, non tanto dalle parole, quanto dagli atti. E soprattutto da quelli del tribunale.