Uta, la Sardegna in Rivolta: "No al 41-bis, l'Isola non è una discarica mafiosa!"

La decisione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria di trasferire detenuti in regime di 41-bis nel carcere di Uta sta infiammando la Sardegna, scatenando un'ondata di indignazione che attraversa istituzioni e società civile. La presidente della Regione, Alessandra Todde, denuncia un "esperimento pericoloso" per l'Isola, mentre un coro di voci autorevoli e associazioni antimafia si unisce al suo grido d'allarme. La comunicazione ufficiale, giunta tramite una lettera del direttore generale Ernesto Napolillo, ha clamorosamente escluso la Presidenza e il Consiglio regionale, considerati, a detta della Todde, "evidentemente non istituzioni da considerare". Questo mancato coinvolgimento non è solo una questione di forma, ma rivela una sostanziale disattenzione nei confronti delle specificità e delle vulnerabilità del territorio sardo. Il nodo centrale della protesta della presidente Todde risiede nella ferma convinzione che Uta non sia affatto idonea ad ospitare detenuti di alta caratura mafiosa. "Uta non è un carcere di massima sicurezza per i mafiosi, sarebbe farli stare in villeggiatura", tuona la presidente, scuotendo le fondamenta dell'efficacia di tale misura detentiva in un contesto come quello sardo. A rafforzare la posizione della Regione e a esprimere un'indignazione palpabile interviene la voce autorevole del noto giornalista Roberto Fadda, sempre attento ai cambiamenti e alle dinamiche sociali dell'Isola, che si dice profondamente "indignato" per le implicazioni di tale decisione. La sua analisi si aggiunge al coro compatto delle associazioni antimafia, che si schierano apertamente al fianco della presidente Todde e del Consiglio regionale. Da Cagliari a Milano, si leva un deciso "no alla mafia in Sardegna", un grido che sottolinea la ferma volontà di difendere l'Isola da ogni tentativo di infiltrazione e radicamento criminale. Questo fronte comune, che vede uniti istituzioni, stampa e società civile, evidenzia la gravità della posta in gioco e la percezione diffusa di un pericolo reale. La Sardegna, come la stessa Todde aveva già segnalato al Ministro Nordio in una nota ora resa pubblica, è considerata dal Procuratore Generale "a forte rischio di sviluppo mafioso". L'arrivo di figure criminali di spicco in regime di 41-bis, lungi dal rafforzare la lotta alla criminalità organizzata, potrebbe al contrario "rafforzare alleanze tra le mafie tradizionali e la criminalità locale". Un rischio concreto, alimentato anche dalla cronica carenza di personale della Polizia Penitenziaria, che ha già dimostrato le sue criticità con episodi drammatici, come la fuga di Marco Raduano a Nuoro nel 2023. L'impatto sociale e sanitario di questa scelta, senza un piano strutturato di interventi, si prospetta insostenibile. La presidente Todde, ribadendo il suo dovere di tutelare i cittadini sardi, lancia un appello perentorio al Governo: "Chiedo al Governo di fermarsi e di aprire immediatamente un confronto serio e responsabile. La Sardegna non può e non deve essere trattata come un laboratorio per esperimenti pericolosi." La vicenda di Uta si configura così non solo come un errore logistico, ma come un'occasione mancata per un dialogo costruttivo tra Stato e Regioni su temi delicati come la sicurezza e la lotta alla mafia. La sensazione, condivisa da Fadda e da tutte le associazioni, è che la Sardegna, ancora una volta, sia percepita più come un'area di scarico che come un interlocutore paritario, con il rischio di compromettere ulteriormente un tessuto sociale già fragile e minacciato da infiltrazioni criminali. La questione rimane aperta, in attesa di una risposta che sappia tenere conto delle reali esigenze e preoccupazioni di un'intera comunità.

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