In Sardegna, le terre civiche rappresentano un vasto patrimonio collettivo, ma per molti versi restano una risorsa bloccata. Terreni che, pur estendendosi su circa 303.676 ettari accertati — una superficie che potrebbe raggiungere i 500.000 ettari se si considerano quelli non ancora ufficialmente censiti — restano imbrigliati in una normativa obsoleta e in procedure amministrative complesse. Questo il quadro tracciato dal Centro Studi Agricoli (CSA), che ha deciso di proporre una riforma organica per dare nuova vita a queste terre.
Carmen Materazzo, membro del direttivo del CSA e imprenditrice agricola di Sindia, ha portato la questione al centro dell’ultimo incontro dell’associazione. "Le terre civiche sono un’opportunità per il nostro settore agricolo, in particolare per l’allevamento di ovini, caprini e bovini. Ma attualmente sono un’occasione mancata, soffocate da burocrazia e incertezza giuridica", ha dichiarato Materazzo.
La proposta del CSA, nata da un dibattito approfondito e approvata all’unanimità, prevede un pacchetto di riforme chiaro e concreto. Il primo passo è l’abrogazione o la revisione della legge regionale 12/1994, sostituendola con una nuova normativa agile e operativa. Una legge che consentirebbe assegnazioni semplificate delle terre, aprendo alla possibilità di utilizzo agricolo, turistico e ambientale, ma sempre con una gestione trasparente e accessibile.
Fondamentale è la creazione di una banca dati digitale unica e pubblica, che consenta di conoscere con precisione lo stato giuridico di ogni particella. Una mappa digitale delle terre civiche, georeferenziata e integrata con gli strumenti tecnologici di ARGEA e Agenzia del Territorio, che possa garantire trasparenza e certezza del diritto.
Ma il vero cuore della riforma è il ritorno della gestione diretta ai Comuni, che secondo il CSA devono avere la possibilità di amministrare queste terre in maniera autonoma, con regole certe per le concessioni temporanee e pluriennali. "I Comuni devono avere la possibilità di valorizzare queste terre, senza essere prigionieri di procedure complesse e di poteri commissariali che spesso bloccano ogni iniziativa", ha sottolineato Materazzo.
Il CSA propone anche di superare i blocchi amministrativi, limitando il ruolo e i poteri del Commissario per gli usi civici e introducendo una sanatoria ragionata per le occupazioni storiche regolari. "Non possiamo pensare al futuro dell’agricoltura sarda senza dare stabilità giuridica a queste terre e a chi le utilizza da generazioni", ha aggiunto.
La riforma punta inoltre sulla sostenibilità ambientale e sullo sviluppo locale. I progetti di utilizzo delle terre civiche dovranno mantenere il loro carattere pubblico, ma aprirsi a forme produttive sostenibili. Saranno premiati i giovani agricoltori, le cooperative locali e i progetti agroecologici o agroenergetici, per garantire che le terre collettive diventino una risorsa viva per le comunità locali.
"Le terre civiche non devono essere un vincolo: devono tornare a essere una risorsa viva per il territorio e per le nuove generazioni", ha concluso Carmen Materazzo, sottolineando che la proposta del CSA sarà presto presentata all’assessore regionale all’agricoltura e ai consiglieri della Commissione Agricoltura del Consiglio regionale. Un passo deciso per trasformare un potenziale inespresso in una risorsa concreta per lo sviluppo rurale dell’isola.