Nel corso di novantatré anni trascorsi tra i pascoli della sua Capo Malfatano, un gioiello incastonato nella costa sud-occidentale della Sardegna, Ovidio Marras ha vissuto la vita semplice e dignitosa del pastore, custodendo terre che appartengono alla sua famiglia da generazioni.
Con la salute che vacilla, ha recentemente abbandonato i suoi amati campi per ritirarsi a Teulada, nella dimora dei suoi antenati. In questo angolo di mondo, si è spento l'uomo che il mondo ha conosciuto, celebrato persino dal New York Times, per la sua stoica resistenza contro i leviatani dell'edilizia, che ambivano trasformare quel paradiso terrestre in un ennesimo tempio del lusso. Il web ne ha riecheggiato il passaggio, inondato di memorie e omaggi: una sorta di moderno Davide contro Golia, come lo definirono i giornali nel calor della battaglia.
Un post dell'associazione Sardegna rubata e depredata lo ha ritratto come un baluardo solitario contro un esercito di avvocati e magnati, un esempio di tenacia rara: "Se fossimo tutti come Ovidio Marras...". E le Guardie ambientali di Sardegna hanno salutato in lui non solo un grande uomo, ma un fiero figlio dell'isola.
Il suo 'no' categorico alla Sitas, tirapiedi di un'élite finanziaria e immobiliare d'alto bordo, risuona ancora: un rifiuto di somme vertiginose per salvaguardare un'eredità più preziosa del denaro, la terra dei suoi padri. Il 2018 vede il crollo della Sitas, un colosso rovinato dalle tenaci resistenze di Marras e Italia Nostra, e dai processi che ne hanno seguito.
Angelo Milia, sindaco di Teulada, pur riconoscendo il nobile attaccamento di Marras alla sua terra, rifugge dal giudicare le conseguenze legali che hanno paralizzato il progetto turistico, una sconfitta per la comunità, secondo lui. Egli critica un sistema che, approvando e poi bloccando i lavori, danneggia gli investitori e deturpa il paesaggio, creando un groviglio giudiziario intricato e controverso.