Philipsen brucia tutti nella volata di Zaragoza, secondo posto per Viviani

  Il sole aragonese splende su una giornata che sa di libertà. Dopo due tappe di montagna che hanno spezzato gambe e sogni, la Vuelta si concede un respiro nei 163,5 chilometri che separano Monzón Templario da Zaragoza. È sabato 30 agosto, sono le 13:40, e nell'aria si sente già il profumo della battaglia finale che attende i velocisti. Il copione si scrive da subito, con la precisione di un orologiaio svizzero. Alle 13:55 parte la corsa vera, e nemmeno un minuto dopo tre uomini rompono gli indugi. Joan Bou della Caja Rural, Sergio Samitier della Cofidis e Jose Luis Faura del Burgos si lanciano nel vuoto, cercando quella gloria che solo chi ha il coraggio di osare può conquistare. Il gruppo li guarda andare con la saggezza di chi sa aspettare. Venticinque secondi diventano un minuto, poi tre, poi quattro. La Alpecin di Jasper Philipsen controlla con la pazienza del pescatore: sa che il pesce grosso arriverà a sera, quando le gambe faranno la differenza e i cuori batteranno più forte. La strada aragonese scorre sotto le ruote dei fuggitivi come un nastro infinito. Samitier vive un momento di pura emozione quando attraversa Barbastro, il suo paese natale. Le bandiere sventolano, i tifosi urlano il suo nome, e per un attimo la fatica scompare.

  È questo il ciclismo più bello, quello che ti fa dimenticare la sofferenza per un grido, per un abbraccio, per un sogno. Ma i numeri sono spietati. Il vantaggio oscilla come un pendolo impazzito: quattro minuti, poi tre e quaranta, poi di nuovo quattro. La Alpecin ha deciso che quattro minuti sono il limite invalicabile, e ogni volta che il cronometro segna di più, i gregari del belga aumentano il ritmo. È una danza perfetta, una coreografia studiata nei minimi dettagli. A centoventi chilometri dal traguardo arriva il primo segnale di nervosismo. Il vento gioca brutti scherzi in questa terra di Spagna, e il gruppo si agita come un mare in tempesta. Oliver Knight della Cofidis alza bandiera bianca e abbandona la corsa. George Bennett farà lo stesso più tardi, al primo passaggio sul traguardo. Il ciclismo sa essere spietato anche quando sembra dolce. La velocità media di 35,8 chilometri orari nella prima ora racconta di una corsa che vuole tenere tutto sotto controllo. Nessuna fretta, nessuna follia. I velocisti sanno che la loro ora arriverà, e preferiscono risparmiare energie per l'assalto finale. Lidl-Trek si unisce alla Alpecin nel controllo, e il messaggio è chiaro: questa giornata appartiene alle ruote veloci. L'ora della verità suona quando mancano ottanta chilometri. Il gap inizia a scendere inesorabilmente: tre minuti e quindici, poi due e quaranta, poi due. I tre eroi di giornata lo sanno, ma continuano a pedalare con l'orgoglio di chi non si arrende mai. Al traguardo volante, a quaranta chilometri dalla fine, passano quasi in solitudine mentre il gruppo si contende i punti residui con Pedersen che vince davanti a Vernon. L'epilogo si scrive con la crudeltà del destino. A venti chilometri dalla fine Faura non ce la fa più e si stacca dai compagni di fuga. Il suo sogno finisce qui, ripreso velocemente dal gruppo affamato.

   Bou e Samitier resistono ancora per qualche chilometro, ma quando mancano diciassette chilometri anche loro devono cedere alle leggi della fisica e della matematica. Il finale esplode come un fuoco d'artificio. Juan Ayuso della UAE si stacca sulle rampe dell'undicesimo chilometro, mentre davanti la battaglia per le posizioni si fa selvaggia. Q36.5, Picnic PostNL e Jayco AlUla si contendono la testa del gruppo con la ferocia di chi sa che ogni metro può essere decisivo. Negli ultimi cinque chilometri, quando la neutralizzazione anticipata mette al sicuro i big della classifica generale, il ciclismo si trasforma in puro spettacolo. La Intermarché di Wanty prova a organizzare il treno per i propri velocisti, ma dall'altra parte della strada Lotto e Alpecin non stanno a guardare. Alec Segaert della Lotto prende la testa e alza un ritmo infernale. Filippo Ganna risale il gruppo come una furia, mentre Ben Turner, il vincitore di Voiron, cerca la posizione giusta. Nell'ultimo chilometro Pedersen perde la ruota di Philipsen e deve inventarsi nuove soluzioni. Poi è caos puro. Planckaert si muove per primo, la volata esplode in tutta la sua bellezza selvaggia. Viviani parte lungo, si sposta verso le transenne ma lascia uno spiraglio fatale. Philipsen è lì, pronto come un predatore, e quando scatta è devastante. Il belga della Alpecin brucia tutti sulla linea, conquistando una vittoria che sa di dominio assoluto. Viviani della Lotto chiude secondo, Vernon della Israel terzo. Dietro di loro il gruppo si frantuma nell'ultimo metro, con Marit, Foldager, Coquard e gli altri a completare una top ten che racconta di una volata perfetta. I cronometri si fermano su 3h43'48", la classifica generale resta immutata. Era una giornata per velocisti e così è stata. Ma nel ricordo resteranno tre uomini che hanno sognato per centosessanta chilometri, un paese che ha festeggiato il suo campione, e una volata che ha fatto battere il cuore a migliaia di tifosi. Perché questo è il ciclismo: sogni che si infrangono e altri che si realizzano, tutto nello spazio di pochi metri, in una manciata di secondi che valgono una vita intera.

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