Il caso Sau e lo scandalo scommesse: ecco come i giocatori puntano su falli e cartellini

L'ex attaccante del Cagliari è stato squalificato per diciotto mesi nell'ambito di una nuova inchiesta della FIGC, che accende i riflettori sulle nuove tecniche di scommesse illecite adottate dai calciatori.

Una nuova ombra si allunga sul calcio italiano, riaprendo la ferita mai del tutto rimarginata delle scommesse illecite. La FIGC ha infatti reso noto di aver concluso la fase istruttoria di una recente indagine, che ha portato all'incriminazione di diversi tesserati. Tra i nomi emersi spicca quello di Marco Sau, attaccante noto al pubblico sardo per il suo lungo e prolifico trascorso con la maglia del Cagliari Calcio. La procura federale ha contestato all'atleta, attualmente svincolato, un numero impressionante di giocate: oltre cinquemila, effettuate tra il 2022 e il 2023 su partite di svariate competizioni, sia nazionali che internazionali.

La sentenza è stata dura: per Sau sono stati disposti diciotto mesi di squalifica, un'ammenda di quindicimila euro e l'obbligo di seguire un percorso terapeutico. È fondamentale precisare, per amore di cronaca e per rispetto della sua storia in rossoblù, che nessuna delle attività illecite contestate risale al periodo in cui militava nel club sardo. Tuttavia, il suo coinvolgimento funge da potente cassa di risonanza per un fenomeno che, lontano dai riflettori, ha cambiato pelle, diventando più subdolo e difficile da intercettare rispetto al passato.

Il caso di Marco Sau non può essere liquidato come un episodio isolato, ma va letto come il sintomo di un problema più vasto e strutturale che affligge il calcio contemporaneo. Se gli scandali storici che hanno macchiato il nostro sport ci avevano abituato a complessi schemi di combine, orchestrati per alterare il risultato finale di una partita con il coinvolgimento di compagni e avversari, oggi lo scenario è profondamente mutato. La vera novità, e il pericolo più grande, risiede nella frammentazione della frode sportiva.

Un singolo calciatore non ha più bisogno di cospirare con altri per trarre un profitto illecito; può agire in completa autonomia, influenzando dettagli della gara che appaiono marginali ma che sono diventati oggetto di scommessa. Questa trasformazione è figlia diretta dell'evoluzione del mercato del betting, che ha ampliato a dismisura il ventaglio delle giocate possibili.

Oggi, infatti, l’offerta dei bookmaker si è spinta ben oltre il classico pronostico sul risultato finale (1, X o 2) o sul marcatore. Anche nei circuiti legali, come Snai e i numerosi siti autorizzati, è possibile puntare su una miriade di eventi specifici che si verificano durante i novanta minuti.

Questi episodi evidenziano un'ulteriore criticità: la difficoltà di monitoraggio e controllo. Se un giocatore piazza una scommessa su un operatore autorizzato, un volume di gioco insolito su una quota così specifica (come le decine di migliaia di sterline puntate sull'ammonizione di Xhaka) può far suonare un campanello d'allarme e innescare un'indagine.

Il vero Far West, però, è rappresentato dalle piattaforme illegali. Su questi circuiti, che operano al di fuori di qualsiasi controllo da parte delle autorità regolamentatrici, regna l'anarchia.  Il monitoraggio è nullo e per un atleta diventa estremamente semplice piazzare giocate senza lasciare tracce, rendendo il compito degli inquirenti quasi impossibile.

La condanna di Marco Sau, dunque, va oltre la notizia sportiva e diventa un monito per tutto il sistema. Rivela che la tentazione per i calciatori non è scomparsa, ma si è semplicemente adattata ai tempi, diventando più personale, silenziosa e sfuggente. La sfida per la FIGC e le altre istituzioni sportive globali è ora quella di adeguare i propri strumenti di prevenzione e sorveglianza a questa nuova, pericolosa realtà.

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