La pioggia norvegese cade fitta e impietosa come un giudizio divino, e gli Azzurri, già fradici di dubbi e carenti di ardore, si sbriciolano come pane raffermo tra le mani degli eredi di Harald il Crudele. È una disfatta senza attenuanti, più che una sconfitta: un affondamento tecnico, tattico e morale.
Luciano Spalletti, stregone irrequieto della palla lunga e pensiero corto, allestisce un undici che pare cucito con lo spago bagnato: centrocampo a cinque, teoricamente a protezione del fortino, ma privo d’acciaio e di genio. Là davanti Retegui e Raspadori, accoppiata più scolastica che infernale, si perdono nei boschi di Oslo come due scout in ritardo sull’adunata.
Piove e il campo diventa una zattera. Ma sono i norvegesi a navigarci sopra con l’ardore dei vichinghi. Al 15’ Sorloth — pianta d’alto fusto degna delle foreste di Trondheim — spunta tra Acerbi e Di Lorenzo come un salmone che risale la corrente e scaglia il cuoio oltre Donnarumma, già spaesato come un turista giapponese all’Eur.
L’Italia non reagisce. Anzi, si siede mollemente sulle ginocchia molli di Rovella e sulle amnesie difensive che sembrano ormai dotazione genetica. Al 34’ è Nusa, ala impetuosa come un refolo d’inverno, a scucire Di Lorenzo e infilare sotto la traversa una saetta che pare tratta dall’arco di Odino.
Al 42’ l’apocalisse. Erling Haaland — detto il Bue delle Fiandre per come carica i difensori — parte al limite del fuorigioco, salta Donnarumma con l’agio del predestinato e infila il terzo con freddezza da boia. Poi si lancia in un’esultanza sciamanica, un rito pagano sulla bandierina del corner: immagine che resterà incisa come una runa nel cuore ferito della nostra Nazionale.
Nella ripresa, Spalletti prova a cambiare spartito. Dentro Frattesi, fuori Rovella, ma è come tentare di asciugare un’alluvione con un fazzoletto. I norvegesi sfiorano la quaterna al 66’: palo clamoroso, Donnarumma battuto e sguardo di chi ha visto passare la morte e non ha nemmeno avuto il tempo di salutarla.
Non un tiro in porta. Non un sussulto. Solo lente derive in mezzo al campo, con la linea difensiva sempre più sparpagliata e l’attacco evanescente come nebbia tra i fiordi.
È da queste disfatte che si misura la tenuta nervosa di una Nazionale. Ma qui non c’è tenuta: solo lo scollamento di un gruppo che ha dimenticato la verticalità del gioco, il coraggio del contrasto, la dignità dell’orgoglio. Spalletti dovrà guardarsi dentro, prima che fuori. E dovrà farlo in fretta.
Perché la strada per il Mondiale, già accidentata, ora si popola di mostri e incubi. E se l’Italia continuerà a viaggiare senza spina dorsale, l’unica cosa che rischia di vedere tra due anni sarà il Mondiale… dalla poltrona.
Voto alla partita: 4. Voto alla prestazione dell’Italia: 3. Voto al coraggio: non classificato.
Che la pioggia sciacqui via almeno le illusioni.