Nel cuore bianco della Puglia, tra i trulli di Alberobello e le pietre calde di Lecce, il Giro si è fatto
poesia di fatica, pazienza e slancio. Centottantasette chilometri e otto centesimi di bellezza,
piegati dal vento del Sud e da una fuga che, come certe storie romantiche, era destinata a svanire.
Eppure, resterà negli occhi.
Al km 0, è già epica: Francisco Muñoz, solitario e fiero come un cavaliere errante, parte all’attacco
con la maglia Polti VisitMalta che brilla nel sole del mattino. Il gruppo lo lascia andare, quasi con
rispetto: sanno che la sua sarà una corsa contro il tempo, più che contro gli uomini. Ma intanto lui
guadagna. Guadagna minuti, chilometri, applausi.
Sulla salita di Putignano – un GPM di 4ª categoria ma con tutto il gusto delle strade strette e
inclinate della Puglia più vera – Muñoz passa per primo, incassa 3 punti, e intanto il gruppo
comincia a svegliarsi. Dietro, Sylvain Moniquet e Lorenzo Fortunato si giocano gli ultimi residui di
gloria in salita. Ma oggi la montagna è solo una nota a margine: il palcoscenico è riservato agli
uomini-jet.
Il primo Traguardo Volante è a Polignano a Mare, dove il mare si innamora delle scogliere e il
gruppo della fatica si stringe per uno sprint secondario ma già rivelatore: Muñoz incassa i 12 punti
da fuggitivo di professione, dietro si agitano Plowright, Kooij, Pedersen. L’ordine è chiaro: i
velocisti ci sono. Sono svegli. Aspettano.
Poi la corsa si increspa: cadute, forature, disordine. Nickolas Zukowsky cade male e deve dire
addio al Giro. Pedersen e Ciccone rallentano, ripartono. Giulio sembra perso, ma poi Jacopo Mosca
– gregario d’altri tempi – lo riporta dentro, con il cuore e le gambe.
All’abbuono intermedio di Ostuni, Muñoz è ancora davanti, sempre lui, cavaliere testardo. Ma
dietro il gruppo è in tempesta. Isaac Del Toro e Primož Roglic si lanciano per i secondi preziosi, e lo
sloveno li agguanta con furbizia, limando il distacco in classifica generale. La Lidl-Trek sente il fiato
sul collo.
Il destino di Muñoz si compie a -55 km: ripreso, applaudito, consegnato alla leggenda quotidiana
del Giro. Ma la corsa ora cambia volto. A San Pancrazio Salentino si vola di nuovo: Olav Kooij, che
ha fame di maglia ciclamino, brucia tutti. Pedersen non molla, Groves c’è. Il Giro sta costruendo la
sua gerarchia fra i velocisti.
Si entra poi nel circuito finale con la tensione che si taglia col coltello. Una nuova caduta coinvolge
ancora Pedersen, ma il danese è come forgiato nel metallo: risale, spinto da Vacek, risale come
solo i grandi sanno fare. Ai -3 km la corsa è sotto regime di neutralizzazione per le cadute, ma in
testa è tutto vero. Affini lancia per Kooij, ma è una bagarre di trenini, gomiti, traiettorie.
Negli ultimi 500 metri il caos si fa arte, e in quell’arte emerge il talento limpido di Casper van
Uden, 23 anni, fiammingo e feroce, che taglia per primo il traguardo di Lecce come un fulmine che
sa dove colpire. Secondo è Kooij, terzo Zijlaard. Pedersen, quarto, salva la maglia rosa per soli 7
secondi, perché Roglic è lì, dietro l’angolo, pronto ad azzannare.
Lecce applaude. Il Sud accoglie il nordico vincitore. Il vento parlava olandese, oggi, ma il cuore era
italiano. Ed è questo il Giro: un’opera in movimento, scritta a pedali, firmata col sudore.