In Italia il gioco è diventato una parte rilevante dell’economia nazionale, una voce che pesa quanto e più di alcuni settori produttivi strategici. Nel 2025 gli italiani hanno “investito” circa 170 miliardi di euro, una cifra che equivale al 7,2% del Pil. Una distrazione di massa che spesso maschera drammi individuali e fragilità collettive. Ognuno di noi, in media, ha speso 2.800 euro tra slot, scommesse, lotterie, Gratta e vinci, giochi numerici, Bingo e casinò online. Una costellazione di offerte che ha colonizzato bar, tabaccai, smartphone, abitudini.
Dietro questi numeri scorre un paradosso che dice molto sul Paese: la spesa nel gioco supera quella nazionale per sanità e istruzione. È il passaggio culturale di un’Italia che tenta la sorte più di quanto investa su sé stessa.
La parte preponderante di questo mercato è digitale: 100 miliardi di euro, trainati dalle scommesse sportive e dai giochi da casinò online. Alle sale fisiche restano circa 70 miliardi, di cui il 75% rientra ai giocatori sotto forma di vincite. Il resto alimenta un circuito che ormai ha dimensioni industriali.
Le stime — elaborate dall’Ufficio comunicazione Unsic e incrociate con lavori di Adm, Cnr, Eurispes, Iss, Nomisma, Istat e altri organismi — confermano la solidità di un mercato che non conosce crisi. E confermano, soprattutto, la fragilità dei territori più esposti.
Campania, Sicilia e Calabria guidano l’elenco delle regioni dove si gioca di più. Ma la mappa non è così semplice: molte località turistiche del Nord — laghi lombardi, riviera ligure — sono diventate vere e proprie “zone franche” dello scommettitore, luoghi dove l’offerta si concentra e l’azzardo cresce in silenzio.
La Lombardia, con 27 miliardi, ha il volume assoluto più alto. Seguono Campania (22), Lazio (17), Sicilia (16), Puglia (12) ed Emilia-Romagna (11). Se invece si osservano i numeri pro capite, emergono i campani, seguiti da abruzzesi, molisani, calabresi e siciliani: tutti sopra i tremila euro all’anno. L’Isola non è esente. Anzi: i dati la collocano in un’area di criticità crescente.
Nel 2024 l’importo medio pro capite delle giocate nei luoghi fisici è stato di 1.678 euro, superiore alla media nazionale (1.563). L’indice dei conti di gioco online è 0,38, contro lo 0,34 nazionale. Numeri che raccontano un fenomeno penetrato anche nei piccoli centri, spesso privi di presidi sociali adeguati.
La ricerca di Federconsumatori “L’azzardo online nei piccoli comuni italiani” segnala tre comuni sardi tra quelli con incidenza doppia rispetto al valore medio nazionale: Pozzomaggiore, Castelsardo, Arborea.
I ludopatici stimati nell’Isola sono 45mila, su 1,5 milioni di residenti. Il costo sociale supera i 60 milioni di euro.
Non sono cifre astratte: sono persone che scivolano nel gioco come in una trappola, spesso senza supporto, con famiglie che assistono impotenti a un lento dissolversi di risparmi e relazioni.
Massimo Persia, medico specializzato nelle dipendenze, ex responsabile del SerD di Tivoli-Guidonia e autore di Skin player, avverte la difficoltà di distinguere la soglia tra gioco e patologia. «Non è facile distinguere la sottile linea tra il gioco come puro intrattenimento e la patologia», spiega. «Si calcola che in Italia ci siano circa 1,5 milioni di giocatori patologici, con un rilevante aumento di giovani. Ciò conferma l’importanza di ascoltare gli adolescenti anziché giudicarli. E di promuovere giochi formativi, educativi e riabilitativi rispetto a quelli predominanti, violenti o a sfondo sessuale».
La sua osservazione chiude un cerchio che il Paese si ostina a non vedere: nel gioco d’azzardo non c’è soltanto una domanda privata, ma una crescente domanda di cura e di responsabilità pubblica.
L’Italia ha creato un sistema in cui lo Stato incassa 11,5 miliardi l’anno, ma paga un costo sociale incalcolabile. La Sardegna, con i suoi numeri silenziosi, è un campanello d’allarme: territori fragili, giovani esposti, infrastrutture sociali insufficienti.
Nell’Isola, come nel resto del Paese, la ludopatia non è una devianza, ma un sintomo. Una spia luminosa su un disagio che chiede ascolto, strumenti e politiche pubbliche adeguate. Non siamo davanti a un vizio: siamo davanti a una forma moderna di vulnerabilità.
Raccontarla oggi significa provare a fermarla domani.