Leggete con calma queste parole. Non vi diremo chi le ha pronunciate, né quando. Non pensate a simboli, a partiti o a ideologie. Leggete soltanto le frasi, giudicatele per quello che dicono, non per chi le ha dette.
Compagni, miei cari lavoratori, se oggi parlo a voi e allo stesso tempo parlo a milioni di altri lavoratori e lavoratrici tedeschi, ho più diritto di farlo di chiunque altro. Sono emerso da voi stessi. Un tempo ero uno di voi e per quattro anni e mezzo di guerra sono stato di nuovo in mezzo a voi, e poi con la diligenza, lo studio e — posso dire — anche con la fame mi sono lentamente fatto strada. Sono sempre rimasto quello che ero prima. Certo non mi sono mai considerato uno di quelli che allora si rivoltarono contro gli interessi della propria nazione. Ero convinto che il destino della nazione dovesse essere difeso, altrimenti l’intero popolo prima o poi avrebbe subito un danno terribile. Questo mi ha separato dagli altri che in quel momento critico si rivoltarono contro la Germania. Non solo il popolo tedesco ma anche gli altri popoli sono testimoni dell’effetto di questo trattato e della teoria che il vincitore e il vinto debbano rimanere per sempre nella loro posizione. Questa teoria ha portato a un nuovo odio nel mondo, a una perenne inquietudine, a un’ingiustizia, alla sfiducia da un lato, alla rabbia dall’altro. Il mondo non è stato pacificato come si diceva allora, ma al contrario è stato gettato in nuove contese e discordie. Pertanto insensata era la tesi secondo cui si deve annientare economicamente il vinto affinché il vincitore stia meglio. Una tesi insensata che però ha sorretto l’intero trattato e che alla fine ha portato al fatto che, nel corso di dieci anni, si cercasse di caricare un grande popolo di oneri insopportabili e di distruggerlo privandolo di ogni possibilità. È comprensibile che molti si oppongano a questo. È comprensibile che le organizzazioni che hanno creato due classi vogliano sopravvivere, perché morirebbero se l’idea alla loro base venisse scossa. Ma non si può lasciare che un popolo vada in rovina solo perché alcune organizzazioni vogliono esistere. La discordia e l’odio tra i popoli sono alimentati da determinati gruppi d’interesse. È una piccola cricca internazionale che istiga i popoli gli uni contro gli altri. Sono persone che sono a casa loro ovunque e in nessun luogo, che non hanno una terra, ma oggi vivono a Berlino, domani a Bruxelles, dopodomani a Parigi o a Londra. Il popolo invece è legato alla sua terra, alla sua patria, alle possibilità offerte dal suo Stato. Il contadino è vincolato alla sua terra, il lavoratore al suo lavoro. Se va in rovina, chi lo aiuterà? Che cosa significa oggi solidarietà internazionale? È tutta teoria in un’epoca in cui la miseria dilaga ovunque. Non sono state le classi intellettuali a darmi il coraggio di iniziare questo lavoro gigantesco, ma due sole classi: il contadino e il lavoratore. Quando un uomo si guadagna un nome con le proprie forze, allora non ha bisogno di titoli ma solo delle sue azioni. Io sono venuto e ho preso questo incarico con un solo pensiero: realizzare ciò che avevo predicato per anni, perché non posso mai diventare più di quello che sono, ma vorrei che i posteri mi riconoscessero che mi sono sforzato onestamente e sinceramente di realizzare il mio programma. Quando sono arrivato, avevamo oltre sei milioni di disoccupati, ora ne ha tre milioni e settecentomila. Si tratta, in nove mesi, di un risultato che si può ammirare. Non ho preso nemmeno una misura che potesse offendere un altro Stato o ferire un popolo. Ho sempre dichiarato che i popoli dovrebbero diventare ragionevoli e non lasciarsi ingannare da piccole cricche internazionali. Credo che sia giunto il momento di cercare il nostro destino nell’unità, di forgiare la nostra comunità in modo indissolubile. E io sono il garante che questa unità non vada a beneficio di una sola parte, ma dell’intero popolo.
Ora che avete letto tutto, la domanda è semplice: queste parole vi sembrano ragionevoli o pericolose? Moderne o lontane? Se le ascoltaste oggi, senza sapere da chi provengono, vi convincerebbero? Vi darebbero fiducia o vi farebbero paura?
È un esperimento di memoria e coscienza. Perché, a volte, la Storia non comincia con la violenza. Comincia con un discorso che sembra parlare di giustizia.