Santa Teresa Gallura, il caso Liò: “Giustizia per il mio cane e per tutti gli animali vittime di crudeltà”

In un Paese che a volte si scandalizza solo a telecamere accese, c’è chi continua a chiedere giustizia nel silenzio di una casa rimasta vuota. Bruna Naitana, residente a Santa Teresa Gallura, non ha perso solo un cane. Ha perso un compagno di vita, un amico fedele, vittima di un veleno che non uccide soltanto il corpo ma anche la fiducia nella civiltà.

Liò, otto anni, docile e mansueto, è morto lo scorso 19 agosto tra atroci sofferenze nella località di La Ficaccia. Le analisi tossicologiche non lasciano spazio ai dubbi: un cocktail di veleni potentissimi, illegali, somministrati con intenzione. Non un errore, non un caso. Un atto pianificato, come un delitto contro un essere che non poteva difendersi.

Bruna non si rassegna. Ha presentato querela e parla con voce ferma, quasi a voler scuotere un sistema assuefatto all’indifferenza: «Questa battaglia non la faccio solo per il mio cane Liò – dice – ma per tutti gli animali avvelenati in passato, vittime della malvagità umana. Voglio lanciare un messaggio chiaro: chi avvelena un animale è un criminale e deve rispondere davanti alla legge. L’impunità è un incoraggiamento a perseverare in condotte criminali. Mi batterò per una condanna esemplare».

Non è solo una storia di crudeltà privata. È una questione pubblica, di sicurezza e di civiltà. «Non è solo un atto crudele contro un animale indifeso – aggiunge – ma un crimine che riguarda l’intera comunità. Chiedo che episodi simili non vengano ignorati».

Bruna aveva chiesto alla sindaca Nadia Matta di prendere posizione. Una condanna che non è arrivata. «Capisco che Santa Teresa viva di turismo – spiega – e che si voglia tutelare l’immagine del paese. Ma l’immagine non si difende con il silenzio. Si difende con la giustizia».

Dal 1° luglio, la legge ha inasprito le pene per chi maltratta o uccide un animale. Ma le norme, da sole, non bastano: servono applicazione, controlli e coraggio. Perché, come scriveva Beccaria, “la certezza della pena è più efficace della sua severità”.

La donna ringrazia chi le è stato accanto: «La famiglia Matera di Torino, che mi ha aiutata in quei giorni terribili, e lo studio veterinario Careddu di Santa Teresa per la professionalità e l’umanità. Ringrazio anche i Carabinieri, su cui ripongo piena fiducia, e la Procura di Tempio che segue le indagini».

Ma accanto al dolore, c’è anche una riflessione più ampia, quasi filosofica. Bruna guarda il mondo che la circonda e ne misura la crudeltà crescente. «Negli stessi giorni – ricorda – una giovane donna è stata assassinata da un uomo sotto effetto di cocaina. Un uomo che aveva un porto d’armi. E nessuno aveva segnalato la sua incompatibilità. Così l’omicidio è stato servito».

La connessione tra i due episodi è evidente: la stessa ferocia che colpisce un animale indifeso è la stessa che porta a togliere la vita a una persona. È il sintomo di una società che si abitua al male, che lo osserva, lo commenta e poi gira pagina. «Il mondo – conclude Bruna – cambia con le nostre azioni, non con le nostre opinioni».

E in questa frase c’è tutto: l’amore tradito, la rabbia composta, ma anche la speranza che, da un paese del nord Sardegna, possa partire una lezione di umanità. Perché, in fondo, la civiltà di un popolo si misura da come tratta chi non può difendersi.

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