C’è un confine che nessuna nave dovrebbe mai ignorare: quello tra il diritto e l’arbitrio. E invece, anche nel 2025, i camion carichi di vitelli e vitelloni destinati alla penisola vengono lasciati a terra nei porti sardi, come accadeva un secolo fa quando l’insularità era una condanna e non una voce da spendere nei convegni. A denunciarlo, nero su bianco, è il Centro Studi Agricoli in una durissima lettera indirizzata alla presidente della Regione, Alessandra Todde, e all’assessore all’Agricoltura, Gianfranco Satta.
Parole pesanti come pietre, quelle firmate dal presidente Tore Piana: “Denunciamo con forza l’ennesima, gravissima discriminazione a danno della zootecnia sarda”. Il riferimento è all’atteggiamento – definito “inaccettabile” – delle compagnie di navigazione Moby e Tirrenia, che pur operando quattro tratte giornaliere da e per Olbia, si rifiuterebbero sistematicamente di imbarcare camion con animali vivi. Il solo operatore che lo consente è il Gruppo Grendi, ma offre una sola partenza settimanale, e per di più “con orari del tutto incompatibili con le esigenze operative e sanitarie degli allevatori e trasportatori”.
Non è un caso isolato, ma un film già visto: “Esattamente come già accaduto nel 2024”, si legge nella nota. Con una differenza sostanziale: stavolta – sottolinea il Carmen Materazzo del direttivo CSA – la Regione non ha più alibi, perché era stata già messa a conoscenza del problema. Il risultato? “Perdite economiche ingenti per centinaia di aziende agricole sarde; compromissione della validità dei certificati sanitari; rischio concreto di blocco totale della movimentazione in caso di nuovi focolai di blue tongue nel periodo estivo”.
La protesta, stavolta, ha i toni di un ultimatum. Il Centro Studi Agricoli chiede tre cose precise:
“1. Un intervento immediato della Regione affinché Moby e Tirrenia, in quanto beneficiarie della continuità territoriale, siano obbligate a imbarcare camion con animali vivi;
2. L’aumento delle corse settimanali abilitate al trasporto zootecnico, con almeno due partenze settimanali da Olbia e Porto Torres;
3. La convocazione urgente di un tavolo tecnico operativo con compagnie di navigazione, allevatori, trasportatori e assessorati competenti”.
E poi l’avvertimento, lanciato con tono netto e inequivocabile: “Non accetteremo ulteriori ritardi o silenzi. La continuità territoriale vale anche per l’agricoltura e la zootecnia, e deve garantire pari diritti e condizioni agli operatori sardi rispetto al resto del Paese. Se non verranno adottate misure concrete e tempestive, la Regione Sardegna dovrà assumersi piena responsabilità politica e sociale per i danni causati”.
Non c’è nulla da aggiungere. Se non che, in questa terra dove ancora si parla di pastorizia come di un retaggio romantico, c’è invece un’economia viva, quotidiana, concreta, che chiede di essere messa su una nave come qualsiasi altra merce. E se le navi della continuità rifiutano di farlo, allora non è solo un problema tecnico: è un problema politico. E, soprattutto, di rispetto.