È piccolo, colorato, apparentemente semplice ma in realtà complesso quanto un enigma matematico. Il cubo di Rubik, per milioni di persone, non è solo un passatempo, ma una sfida intellettuale, uno sport, un simbolo. La sua storia inizia in un’aula universitaria di Budapest, nel 1974, quando Erno Rubik, professore di architettura, ideò uno strumento didattico per spiegare ai suoi studenti i concetti di movimento spaziale tridimensionale.
Quello che all’inizio doveva essere un semplice modello per illustrare il funzionamento di una struttura mobile, divenne presto un oggetto capace di esercitare un fascino universale. Rubik brevettò la sua invenzione nel 1975 con il nome di “cubo magico” (Buvös kocka in ungherese), e da lì iniziò la sua ascesa nel mondo dei giochi e dei rompicapo.
Il successo globale esplose negli anni ’80, quando il cubo iniziò a essere commercializzato su larga scala. Nel 1980 fu ufficialmente ribattezzato Rubik's Cube, e divenne subito un fenomeno popolare, presente in milioni di case, scuole e zaini in ogni angolo del pianeta. Un semplice oggetto composto da 26 piccoli cubi e sei facce colorate, ma in grado di offrire più di 43 trilioni di combinazioni possibili.
Da allora, il cubo non ha mai smesso di appassionare: generazioni di studenti, appassionati di logica, nerd e curiosi si sono cimentati nella sua risoluzione. E mentre la maggior parte di noi impiega minuti, se non ore, per tentare di completarlo (molti senza mai riuscirci), i professionisti del “speedcubing” sono capaci di imprese straordinarie.
Il record attuale appartiene al cinese Guambo Wang, che nel 2022 ha risolto il cubo in appena 0,47 secondi, un tempo che sfida le leggi della coordinazione occhio-mano. Un batter di ciglia. La risoluzione del cubo è diventata una disciplina codificata, con tornei internazionali, tecniche raffinate e algoritmi precisi.
Per riuscirci, infatti, non basta l’intuito: serve studio, memoria e tanto allenamento. I “cubisti” di alto livello conoscono decine di sequenze e algoritmi per risolvere ogni situazione. Tra i metodi più noti c’è il metodo Fridrich, che prevede una risoluzione per fasi: prima una croce, poi gli angoli, gli spigoli e infine l’orientamento e la posizione finale dei cubi.
Un rompicapo che ha saputo reinventarsi, diventando simbolo della cultura pop, oggetto di design, metafora filosofica e strumento didattico. Il cubo di Rubik è entrato nei musei, nei libri e persino nell’arte. È stato studiato da matematici e neuroscienziati, utilizzato per test cognitivi e gare scolastiche.
E, dopo cinquant’anni, resta ancora lì: apparentemente semplice, in realtà affascinante, capace di suscitare sfida e stupore. Un piccolo mondo colorato che continua a ruotare – nel vero senso della parola – nella vita di milioni di persone.