Ci sono storie che fanno ribollire il sangue, che ti afferrano per il colletto e ti costringono a guardare in faccia l’abisso. La vicenda di Massimiliano Mulas, 45enne di origini sarde, è una di queste: un predatore seriale, un mostro che ha seminato orrore da Mestre a Savigliano, lasciando dietro di sé bambine violate e famiglie distrutte. Due vittime di 10 e 11 anni, una violentata sul portone di casa a Mestre, l’altra abusata nel Cunese. E poi un’ombra di adescamento a Cervere, come un avvertimento ignorato. Ma la vera vergogna non è solo Mulas. È un sistema giudiziario che, pur avendo leggi severe, ha lasciato questo lupo libero di cacciare.
Proviamo a capire, con i codici alla mano e il cuore in gola, come sia stato possibile.
Un curriculum da ergastolo Mulas non è un delinquente qualunque. È un calcolatore, un recidivo con un passato spaventoso. Condannato per stupro a Padova nel 2006 (otto anni di carcere), accusato di abusi su minori a Perugia, segnalato per un tentativo di violenza in Trentino nel 2002. A 19 anni ha decapitato un cane, infilandone la testa in un fustino di detersivo per terrorizzare una ragazza e spillarle soldi. Un gesto che già allora diceva tutto delle sue capacità.
Nel 2019, i carabinieri di Tempio Pausania lo avevano bollato come “pericoloso”, dopo che aveva cercato di raggirare una vedova fragile. Ma quel rapporto è rimasto carta straccia. Nessun braccialetto elettronico, nessuna misura cautelare, niente. Mulas era libero di vagare, da Torino a Venezia, come un lupo in un recinto di agnelli.
Ora, le accuse si accumulano.
A Mestre, il 10 aprile 2025, ha pedinato una bambina di 11 anni che tornava dalla palestra, l’ha spinta nel portone di casa e l’ha violentata. Pochi giorni prima, a Savigliano, un episodio analogo su un’altra vittima della stessa età. A Cervere, lo scorso novembre, è stato denunciato per adescamento di minore. Interrogato in carcere a Gorizia, si è avvalso della facoltà di non rispondere. Il suo avvocato, Ignazio Ballai, tira fuori la carta della perizia psichiatrica, ma non facciamoci illusioni: Mulas non è un folle. È un predatore lucido, che sceglie le sue prede con cura e colpisce nei momenti di vulnerabilità.
La legge italiana non scherza con chi tocca i minori. Il Codice Penale è un’arma affilata, ma sembra che qualcuno si sia dimenticato di usarla. Vediamo i reati contestati a Mulas e cosa rischia.
Violenza sessuale (art. 609-bis c.p.)
Chiunque, con violenza, minaccia o abuso di autorità, costringe una persona a compiere o subire atti sessuali, va incontro alla reclusione da 6 a 12 anni. Se la vittima è un minore, scattano le aggravanti (art. 609-ter c.p.):
Minore di 14 anni: pena aumentata fino alla metà.
Minore di 10 anni: pena raddoppiata, fino a 24 anni.
Gli episodi di Mestre e Savigliano, con vittime di 10-11 anni, configurano una violenza sessuale aggravata. Mulas rischia pene che, con il cumulo dei reati, potrebbero sfiorare l’ergastolo. Gli “atti sessuali” includono qualsiasi contatto che violi la sfera intima, non solo rapporti completi.
Atti sessuali con minorenne (art. 609-quater c.p.)
Anche con il consenso (irrilevante per minori sotto i 14 anni), gli atti sessuali con un minore sono puniti con 6-12 anni di carcere, ridotti a 3-6 anni in casi specifici (es. abuso di autorità).
Per le vittime di Mulas, l’età (10-11 anni) elimina ogni attenuante.
Adescamento di minori (art. 609-undecies c.p.): Carpire la fiducia di un minore sotto i 16 anni con intenti sessuali è punito con 1-3 anni di reclusione. L’accusa di Cervere rientra qui: Mulas avrebbe cercato di avvicinare una minore con lusinghe o artifici, un reato “spia” di comportamenti predatori.
Recidiva (art. 99 c.p.)
Mulas è un recidivo specifico, il che comporta un aumento di pena fino a un terzo.
Con il suo storico, ogni condanna sarà inevitabilmente inasprita.
Pene accessorie (art. 609-nonies c.p.): Condanne per questi reati comportano:
Interdizione perpetua da ruoli a contatto con minori.
Perdita della responsabilità genitoriale.
Obbligo di comunicare residenza e spostamenti.
Queste misure servono a limitare il rischio di recidiva, ma nel caso di Mulas sembrano arrivate troppo tardi.
La legge c’è, e non è morbida. Eppure, Mulas era libero. Perché? Il problema non è il Codice Penale, ma la sua applicazione. I carabinieri avevano segnalato il pericolo nel 2019, ma nessuno ha agito. Non esiste un registro pubblico dei sex offender, come in USA o Regno Unito, né un sistema di monitoraggio efficace per recidivi come lui. La Convenzione di Lanzarote, che chiede programmi di trattamento per ridurre la recidiva, è lettera morta in Italia. E la castrazione chimica, usata altrove, resta un tabù.
Le pene sono severe, ma la prevenzione è un colabrodo. Nessun braccialetto elettronico, nessuna sorveglianza stretta, nessun internamento in strutture psichiatriche per soggetti pericolosi. E così, Mulas ha colpito ancora. E ancora. Il patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, ha ragione: “Come è stato possibile, visti i precedenti?”. La risposta è semplice: un sistema che scarica i mostri dopo condanne ridicole e si dimentica di loro. Due bambine, a Mestre e Savigliano, porteranno cicatrici per sempre. Due famiglie vivono un dolore che non si spegne. E Mulas, ora in carcere a Gorizia, potrebbe non uscire più, ma questo non basta. Serve un sistema che prevenga, non che rincorra. Serve un database nazionale dei predatori sessuali. Servono misure come il braccialetto elettronico o l’internamento per chi ha dimostrato di essere un pericolo pubblico. E, sì, serve parlare di pene esemplari per prevenzione generale: l’ergastolo per chi violenta una bambina non è una barbarie, è giustizia.
La legge italiana è chiara: chi tocca un minore paga caro. Ma finché persone come Mulas saranno liberi di vagare, nessuna norma basterà. Guardiamoci allo specchio: quante altre vittime vogliamo sacrificare prima di buttare via la chiave?