Nel cuore buio della Grande Depressione, mentre milioni di americani facevano la fila per un tozzo di pane e una minestra calda, c’era un uomo che entrava e usciva dalle banche con una disinvoltura che pareva rubata al cinema. Vestito di tutto punto, giacca doppiopetto e cravatta impeccabile, John Herbert Dillinger non era soltanto un criminale: era l’incarnazione romanzesca del bandito d’altri tempi. Un nemico pubblico, sì, ma anche una figura mitica, tanto odiata quanto ammirata.
Era astuto, veloce, e armato fino ai denti. Gli piacevano le pistole quasi quanto i completi su misura. E ogni volta che veniva arrestato – e capitò più di una volta – sembrava che si divertisse a fuggire, come se il carcere fosse solo un’altra tappa del suo gioco di prestigio. Con la sua banda seminava il panico tra banche e poliziotti, lasciando dietro di sé casse vuote e cronisti affamati di storie.
La sua fine ufficiale arrivò la sera del 22 luglio 1934, davanti al Biograph Theater di Chicago. Era in compagnia di Ana Cumpana?, detta "la donna in rosso", una prostituta romena che, secondo le cronache, avrebbe collaborato con l’FBI in cambio di un passaporto americano. I federali lo freddarono con una raffica di colpi all’uscita dal cinema, dopo la proiezione del film Manhattan Melodrama.
Il pubblico esultò. Il governo respirò. L’FBI si prese il merito. Ma la storia, quella vera, forse non finì quella notte.
Già, perché attorno alla morte di Dillinger si è costruito un enigma degno di un romanzo hard-boiled. I rapporti dell'autopsia misero in dubbio l’identità del cadavere: l’uomo freddato aveva cicatrici, colore degli occhi e impronte digitali che non coincidevano perfettamente con quelle del famoso gangster. Alcuni parenti gridarono al complotto: a morire quella notte, dissero, non fu Dillinger ma un certo James Lawrence, un piccolo delinquente con qualche vaga somiglianza.
E mentre l’America celebrava la fine del suo nemico pubblico numero uno, qualcuno giurava di aver visto Dillinger ancora vivo anni dopo, in Arizona, o al confine col Messico. La sua tomba si trova al Crown Hill Cemetery di Indianapolis, ma c’è chi è pronto a scommettere che, sotto quella lapide, non ci sia mai stato il vero John.
Forse è questo il suo colpo più riuscito. Non una rapina. Non un’evasione. Ma la sparizione perfetta, capace di lasciare l’America col fiato sospeso anche novant’anni dopo.