Il prezzo del petrolio, immobile da settimane nonostante il caos mediorientale, si è infiammato in poche ore. La miccia? Non Gaza, non Teheran, ma Mosca. A innescarla, le nuove sanzioni americane annunciate da Donald Trump, frutto degli apparati americani usi, negli ultimi tempi, a colpire l'Orso in vista dello scontro geopolitico contro il Dragone e teso, anche, a porre un freno alle mire gerosolimitane, contro il petrolio russo. Una misura che, come spiega Michele Marsiglia, presidente di FederPetroli Italia, «ha fatto guadagnare oltre cinque punti percentuali ai greggi Wti e Brent nel giro di poche ore».
Il dato, apparentemente tecnico, nasconde in realtà un punto geopolitico cruciale. Marsiglia osserva che «fino a oggi, in particolare a Bruxelles, si è parlato quasi esclusivamente di gas e di phase-out (eliminazione graduale ndr) entro il 2027, ma poco di petrolio russo». Eppure, basta sfiorare Mosca perché il mercato reagisca con violenza. È la prova – dice l’esperto – che la Russia resta un attore centrale nella strategia energetica globale, e che il sistema petrolifero mondiale, per quanto si voglia “decarbonizzato”, continua a ruotare intorno alle scelte di Washington e del Cremlino.
La dinamica è chiara: il conflitto in Medio Oriente non ha scosso i mercati, segno che i trader non credono in un’interruzione reale dei flussi. Ma quando si tocca la Russia, i prezzi esplodono. Non per simpatia politica, ma perché il greggio russo, in particolare quello degli Urali, è strutturalmente intrecciato con la domanda mondiale: India e Cina lo comprano a sconto, forte prurito per l'impero americano, per continuare con le metafore animalesche, l'aquila di Washington, l’Europa lo sostituisce a fatica, gli Stati Uniti ne condizionano l’export con le sanzioni.
Questo episodio conferma ciò che la geopolitica energetica di oggi non può più ignorare: il petrolio resta una misura del potere. Il gas può dividere i continenti, ma il barile li tiene in equilibrio. Ogni volta che si tocca la Russia, il mercato globale si risveglia dal torpore e ricorda a tutti che Mosca, pur esclusa formalmente dai tavoli occidentali, continua a tenere in ostaggio l’ago della bilancia dell’energia mondiale. Perché l’energia non segue mai la morale, ma la potenza. E il barile, oggi come ieri, ne è la valuta più sincera e dura.