Il dazio americano sul Pecorino Romano DOP salirà al 30%. Una notizia che, di primo impatto, potrebbe far tremare i polsi a molti. Ma i numeri, come sempre, raccontano un’altra storia.
Il Pecorino Romano DOP, si sa, è un vanto sardo che piace anche oltre oceano. Oggi circa la metà della produzione finisce negli Stati Uniti, dove regna sulle tavole dei ristoranti di fascia alta.
Con il nuovo dazio, il prezzo per gli americani salirà di quasi 4 euro al chilo, arrivando a sfiorare i 16 euro. Una mazzata? Mica tanto. Secondo il Centro Studi Agricoli, la contrazione prevista nelle vendite si fermerebbe al 15%.
Il consumatore americano, abituato a mettere il Romano sulla pasta come fosse oro, continuerà a comprarlo. Magari con qualche smorfia alla cassa, ma non cambierà abitudini.
E il latte ovino sardo? Secondo gli esperti, la riduzione sul prezzo al litro sarà minima: si parla di 5 o 6 centesimi. In sostanza, nessuna débâcle.
Il presidente del Centro Studi Agricoli, Tore Piana, non le manda a dire: “Anche con un dazio del 30%, non dobbiamo farci prendere dal panico. Alcune associazioni agricole stanno esagerando con toni allarmistici che non aiutano il comparto. I numeri parlano chiaro: l’impatto sul Pecorino Romano Dop sarà gestibile e non comprometterà in modo strutturale la tenuta economica della filiera. Serve razionalità, spirito d’innovazione, e il coraggio di aprirsi a nuovi mercati. Il Centro Studi Agricoli sarà al fianco degli allevatori e dei trasformatori, vigilando e proponendo soluzioni concrete. Abbiamo fiducia nella forza del nostro sistema agroalimentare.”
Il messaggio è chiaro: il Pecorino Romano non cadrà sotto il peso delle tasse a stelle e strisce. Piuttosto, servirà a ricordare che la forza di un prodotto non sta solo nel prezzo, ma nella sua storia, nel suo gusto e nel carattere di chi lo produce.
Il formaggio resiste. E, per una volta, niente lacrime di cagliata.