Alle nove e un quarto di una mattina qualunque, nella sezione C del reparto “Arborea” della casa circondariale di Uta, la violenza ha fatto irruzione ancora una volta nella quotidianità blindata del penitenziario. Un agente della Polizia Penitenziaria è stato costretto a intervenire per separare due detenuti in colluttazione durante l’apertura dei cortili passeggi. Ne è nato un parapiglia brutale, sedato solo grazie all’intervento del personale di rinforzo. L’agente ha avuto la peggio: trasportato d’urgenza al pronto soccorso, ha riportato lesioni alla testa e una prognosi di 15 giorni.
Un fatto di cronaca, certo. Ma che per il Con.Si.Pe – Confederazione dei Sindacati Penitenziari è l’ennesima prova di un sistema penitenziario ormai vicino al punto di rottura. A denunciarlo, con parole che non ammettono retorica né sconti, è il Segretario Nazionale Roberto Melis: “Questi episodi sono il sintomo evidente di un sistema penitenziario al collasso. Le carenze di organico, i turni massacranti e l’assenza di strumenti adeguati mettono a rischio quotidiano la sicurezza degli operatori. Il DAP deve intervenire con urgenza, prima che l’intero sistema imploda”.
Per Melis, Uta è una bomba pronta a esplodere, esattamente come molti altri istituti in Italia. In quelle mura, che dovrebbero custodire la legalità, si produce invece una spirale crescente di violenza, degrado e abbandono.
“La Polizia Penitenziaria ha bisogno di tutele vere e di un rafforzamento immediato delle risorse umane. Non possiamo continuare a ignorare questi segnali d’allarme”, aggiunge.
Il comunicato del Con.Si.Pe si chiude con un gesto semplice ma carico di significato: la solidarietà al collega ferito. Ma anche con un appello, diretto e senza infingimenti, alle istituzioni. Perché – ed è questa la nota più amara – chi serve lo Stato dietro le sbarre, troppo spesso vi resta intrappolato senza difese, senza voce e senza giustizia.
Nel carcere di Uta, come altrove, la tensione è permanente. E in assenza di interventi concreti, a esplodere non saranno solo le bombe annunciate, ma la stessa idea di Stato che pretende ordine, ma dimentica chi ne garantisce ogni giorno l’ultima frontiera.