un libro per non dimenticare

La tragedia nella miniera carbonifera di Schisòrgiu” di Mauro Pistis

Carbonia, la tragedia nella miniera di Su Schisorgiu

  «Dieci minuti prima della fine del primo turno lavorativo, ufficialmente registrato alle ore 22,50 circa» una forte esplosione uccide 14 minatori che muoiono «anche se in giorni diversi, dopo indicibili sofferenze» mentre altri 8 – fra questi un ragazzino di 14 anni – vengono feriti. Siamo nella miniera carbonifera di Schisòrgiu, il 19 ottobre 1937. La tragedia «rimane imperdonabilmente nascosta… per lungo tempo, fino ai nostri giorni» scrive l’autore, Mauro Pistis. In determinate condizioni, le polveri sottili di carbone sospese in aria, bruciano rapidamente e violentemente, provocando una deflagrazione che può trasmettersi a distanza anche di decine di chilometri dal punto di innesco. 

  Quel giorno accadde proprio questo. Morirono quattordici minatori e ne rimasero feriti otto. Nove morirono immediatamente, altri cinque nei giorni successivi. Non sopravvissero alle terribili ustioni e alle lesioni prodotte dai gas venefici inalati ad alta temperatura. Il maggior numero di infortuni avvenne proprio nel brevissimo periodo del regime fascista, quando si attuò il famigerato metodo o sistema “Bedaux”. Questo si basava sulla stima della quantità di lavoro che un operaio era in grado di compiere, con un certo sforzo, in un minuto, chiamato anche “60 di passo”. Un minatore doveva raggiungere il cosiddetto “60 di passo”, cioè doveva trasportare un determinato numero di carrelli, caricare una certa quantità di minerale, scavare un determinato numero di metri Schisòrgiu – o «Scruscògu» – indica «un luogo con un tesoro ben nascosto» e da sempre in Sardegna ci sono diversi luoghi così chiamati ma la miniera di Sirai è «all’ ingresso di Carbonia», città che doveva essere strategica per il fascismo. E infatti il quotidiano «Il popolo d’Italia» il 19 dicembre 1938 (anno XVIII dell’era Fascista») titolò in grande «Mussolini al rito battesimale di Carbonia» e più in piccolo «che attesterà nei secoli l’indomabile volontà e la capacità realizzatrice dell’Italia fascista»; l’occhiello sopra il titolo chiarisce: «Tappe vittoriose della marcia per l’autarchia».

  Sardegna, terra di miniere. Il libro di Mauro Pistis ricorda che nel «Bacino carbonifero del Sulcis» sono almeno 413 i minatori morti fra il 1879 e il 1992. Nel quinto capitolo c’è una impressionante cronologia: si muore ogni anno, dunque non dipende solo dal fascismo anche se i suoi ritmi impongono un’ulteriore violenza contro chi lavora. Così nel 1946, in democrazia, ci sono 18 morti, l’anno dopo 28, nel 1950 ancora 15 morti e poi una “media” di 5-6, fino ai 3 del 1972 e all’ultimo, il 13 gennaio 1992. Una delle tante fotografie mostra la «statua del Minatore-Soldato» che fu abbattuta nell’autunno del 1947. Era il «sacrificio» cantato da paroni e fascisti, come testimonia la frase di Benito Mussolini che venne posta «all’ingresso della grande miniera di Serbariu» ovvero: «Coloro che io preferisco sono quelli che lavorano, duro, ecco, sodo, in obbedienza e possibilmente in silenzio». All’interno della tragedia sarda di Schisòrgiu, l'autore è bravo a intrecciare altre storie: l’inatteso sciopero antifascista a Carbonia del 2 maggio 1942 e l’ancor più grande strage – 185 morti accertati, «una decina provenienti dal Sulcis» – del 28 febbraio 1940 «nella miniera di Arsia nel Bacino petrolifero carbonifero dell’Arsia», allora «territorio italiano della Provincia di Pola» il più grande disastro minerario d’Italia e «uno degli incidenti più gravi d’Europa per numero delle vittime».

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