La Serie A si prepara a un Natale come non se ne vedevano da una vita. Tra il 25 dicembre e l’Epifania il calendario rovescia sul campo trenta partite in tredici giorni, una maratona che non concede tregua né ai muscoli né alle classifiche.
L’ultima volta accadde nel 1956, un inverno rimasto nella memoria come una fotografia in bianco e nero: la neve su Roma, le domeniche lente, un calcio che entrava nelle case dalla radio. Quel tempo è diventato racconto, canzone, immaginario collettivo — come La nevicata del ’56, scritta molti anni dopo, per ricordare le ondate di gelo del febbraio di quell'anno, ma capace di restituire meglio di qualsiasi cronaca il clima di allora.
La Serie A ci torna ora, settant’anni dopo, perché il calendario lo impone e il calcio moderno non conosce più tregua.
Il programma è fitto e spietato. Non si gioca per riempire le giornate, ma per spostare equilibri. L’Atalanta, tra addobbi e luminarie, si trova a fare da spartiacque al campionato: Inter e Roma a Bergamo, poi la trasferta di Bologna. Partite che valgono doppio, perché arrivano quando le gambe sono stanche e la testa tende a distrarsi.
Negli ultimi due anni si era già scesi in campo durante le feste, ma mai così. Questa volta la Lega ha alzato l’asticella e ha scelto la continuità totale: nessuna pausa vera, nessun tempo per rifiatare. È una scelta che promette spettacolo, ma anche inciampi, ribaltoni, classifiche riscritte nel giro di pochi giorni.
Il Natale del calcio non è più una parentesi sentimentale. È una prova di resistenza. Vince chi regge, chi ruota meglio, chi sbaglia meno quando tutto invita a sbagliare. Gli altri, come sempre, lo scopriranno troppo tardi.