Nelle terre dove l'Adige sussurra storie antiche prima di perdersi verso il mare, è iniziata una
giornata che avrebbe scritto pagine indelebili nella storia di questo Giro d'Italia.
Centocinquantacinque chilometri di asfalto serpeggiante, tremilottocento metri di dislivello: numeri
che sulla carta raccontano solo una parte della verità, perché nelle montagne le battaglie si
combattono prima nel cuore che nelle gambe.
Sin dalle prime pedalate, quando il sole di maggio accarezzava ancora dolcemente i corridori, si
intuiva che sarebbe stata una giornata di fuoco. Mads Pedersen, quella freccia danese vestita di
ciclamino, ha provato a dare il LA alla sinfonia degli attacchi, trascinando con sé un drappello di
sognatori verso il primo traguardo volante di Cles. Ma il gruppo, quella bestia dalle mille teste e dal
respiro possente, non aveva alcuna intenzione di lasciar volare i fuggiaschi troppo in alto.
È stato solo quando la strada ha iniziato a piegarsi verso l'alto, quando le Alpi hanno mostrato il
loro volto severo, che la corsa ha trovato la sua vera anima. Una fuga di quasi quaranta anime
coraggiose ha preso il largo, portando con sé nomi illustri: Martinez e Tratnik per la Red Bull-Bora,
Pedersen sempre lui, Bardet l'eterno romantico, McNulty l'americano dalle gambe d'acciaio. Tre
minuti e più di vantaggio, una distanza che profumava di libertà.
Ma le montagne, si sa, non perdonano le illusioni. Sul Passo del Tonale, quella porta d'ingresso al
regno dell'alta quota, Lorenzo Fortunato ha iniziato a scrivere la sua personale epopea. Diciotto
punti per la maglia azzurra, il primo squillo di tromba di una giornata che lo avrebbe visto
protagonista assoluto. Dietro di lui, Diego Ulissi e il giovane Vacek, mentre il gruppo principale
accusava già un ritardo di oltre tre minuti.
Poi è arrivato lui, il Mortirolo. Dodici chilometri e mezzo di pura sofferenza, dove le percentuali
doppie si susseguono come schiaffi implacabili. Qui si sono consumati i primi drammi: Antonio
Tiberi, il talento laziale su cui tante speranze erano riposte, è entrato in una crisi profonda, perdendo
minuti preziosi e vedendo sfumare i sogni di gloria. Così come Juan Ayuso, lo spagnolo della UAE
che ha pagato dazio alle prime difficoltà già nelle fasi iniziali, scivolando inesorabilmente fuori dai
giochi.
In cima al Mortirolo, Afonso Eulálio ha conquistato i quaranta punti del Gran Premio della
Montagna, ma ormai l'attenzione era tutta rivolta a quello che stava accadendo nel gruppo dei
migliori. Richard Carapaz, l'ecuadoriano dal cuore di fuoco, aveva iniziato la sua rimonta con
l'eleganza del grande campione, trascinando con sé Pellizzari e creando scompiglio nelle retrovie.
Ma il vero colpo di teatro doveva ancora arrivare. Negli ultimi chilometri, quando la strada
scendeva verso Bormio come un fiume in piena, Isaac Del Toro ha mostrato tutta la sua classe
cristallina. Il giovane messicano, una maglia rosa che sembrava vacillare sulle sue spalle dopo le
difficoltà del giorno precedente, ha trovato la forza dei campioni nel momento più importante.
Prima ha seguito Carapaz e Bardet nel loro tentativo, poi, quando mancavano appena due chilometri
al traguardo e la pioggia iniziava a rendere traditore l'asfalto, ha sferrato l'attacco decisivo. Una
progressione devastante, un allungo che ha spezzato le gambe e i sogni degli avversari. Nella prima
curva dopo l'ultima salita, Del Toro ha trovato il vuoto davanti a sé e se n'è andato come solo i
grandi sanno fare: pedalata dopo pedalata, metro dopo metro, verso un trionfo che aveva il sapore
della liberazione.
L'arrivo a Bormio, sotto qualche goccia di pioggia che sembrava benedire il suo sforzo, è stato un
inchino alla storia. Del Toro ha tagliato il traguardo con le braccia al cielo, la maglia rosa più salda
che mai sulle spalle, e quarantuno secondi di vantaggio su un Carapaz comunque sublime nella sua
rimonta. Per poi inchinarsi.
Dietro di loro, Simon Yates ha limitato i danni conservando la terza posizione, mentre Derek Gee e
Damiano Caruso hanno mantenuto le loro posizioni di vertice. Ma questa diciassettesima tappa sarà
ricordata soprattutto per aver consacrato Del Toro come il vero padrone di questo Giro. Il giovane
messicano ha dimostrato di possedere non solo le gambe, ma soprattutto il carattere per reggere il
peso della maglia rosa.
Ora la strada porta verso altre montagne, altri tormenti alpini dove i distacchi potranno ancora
cambiare. Ma dopo Bormio, dopo questa giornata di passione e sofferenza tra Tonale e Mortirolo,
Isaac Del Toro ha scritto il suo nome tra quelli che non si dimenticano. L'aquila messicana ha
spiccato il volo proprio quando tutti pensavano che potesse precipitare.
E nelle Alpi, dove la storia del ciclismo ha sempre trovato i suoi capitoli più belli, è nato un nuovo
protagonista.