Da mesi, il tema dell’eccessivo numero di partite sta scuotendo il calcio europeo, portando a una situazione di crescente tensione tra giocatori, club e federazioni. L'elevato numero di partite, oltre 60 in una stagione tra campionati, coppe nazionali e competizioni europee, sta mettendo a dura prova la resistenza fisica dei calciatori, con un'escalation preoccupante di infortuni. Gli ultimi casi di Ter Stegen e Rodri, che si sono aggiunti a una lunga lista di indisponibili, ne sono la dimostrazione più evidente.
La situazione ha raggiunto un punto di svolta critico, tanto che l’Associazione Calciatori ha lanciato un avvertimento chiaro: se non ci sarà una riduzione del numero di partite, si arriverà allo sciopero. È un segnale forte che non va sottovalutato. Questo clima di tensione non riguarda solo i principali campionati europei, ma si riflette anche in Serie A, dove alcune delle principali squadre, tra cui le cosiddette "big", stanno considerando seriamente la possibilità di fermarsi. Non si tratta solo di un gesto di protesta, ma di un grido d’allarme di fronte a un calendario che, anno dopo anno, sta spremendo i giocatori come limoni.
Le voci di un possibile sciopero stanno mettendo in agitazione l'intero sistema calcio, e i club italiani non sono immuni da questa crisi. In un campionato come la Serie A, già in difficoltà per mantenere il livello competitivo rispetto ad altre leghe europee, uno sciopero rappresenterebbe un colpo durissimo.
Potrebbe significare la sospensione delle partite, con un impatto economico devastante, specialmente per le squadre che dipendono dagli incassi dei matchday e dai diritti televisivi.
Ma perché si è arrivati a questo punto? La risposta è semplice: gli interessi economici hanno preso il sopravvento sulla tutela della salute dei calciatori. Tra impegni di campionato, competizioni europee e partite con le nazionali, il calendario è ormai un labirinto senza via d’uscita. Il recente inserimento di tornei come la Conference League, e il formato ampliato della Champions League che verrà introdotto dalla stagione 2024-2025, non fa che peggiorare la situazione. Le squadre di vertice giocano praticamente ogni tre giorni, con viaggi interminabili che si sommano agli allenamenti e alle partite, aumentando il rischio di infortuni.
È chiaro che si tratta di una questione che va oltre il semplice sport, toccando aspetti come il benessere fisico e mentale degli atleti. Lo sciopero rappresenta, quindi, l'ultima carta che i giocatori hanno in mano per farsi ascoltare e per difendere il loro diritto a lavorare in condizioni sostenibili. Non si tratta solo di fermare il campionato o di bloccare le competizioni europee, ma di lanciare un messaggio forte e chiaro alle istituzioni del calcio: è necessario un cambio di rotta.
Se non si interviene tempestivamente, si rischia non solo di compromettere il regolare svolgimento della stagione, ma anche di danneggiare irreparabilmente l'immagine del calcio europeo. Questa non è più solo una battaglia dei giocatori: è un tema che dovrebbe coinvolgere tutti, dagli allenatori ai tifosi, passando per i dirigenti e gli sponsor. Il rischio è che il calcio, a forza di voler massimizzare i profitti, perda la sua essenza e si trasformi in un circo stanco e privo di emozioni.