Pitzolu (Italia Solare): “Agrivoltaico unica salvezza per gli allevatori sardi”

SASSARI – Dopo quattro anni di annunci e promesse, l’agrivoltaico in Sardegna resta fermo al palo. Nessun impianto realizzato, nessun progetto avviato, solo iter burocratici complessi, cambi di rotta politici e resistenze locali. A denunciarlo è Maurizio Pitzolu, referente di Italia Solare Sardegna e membro del consiglio direttivo di Sardi per le Rinnovabili, che in un comunicato diffuso pubblicamente solleva il caso di un’opportunità che rischia di sfumare nel silenzio.

«Sono ormai 4 anni che in Sardegna si sente parlare di agrivoltaico ma ancora nell’isola nessuno è riuscito ad installare nemmeno un impianto», scrive Pitzolu. «Lungaggini burocratiche, cambiamenti politici e avversità della popolazione locale non hanno di certo aiutato e quello che poteva essere un sostegno importante per tanti allevatori della Sardegna inizia per i più a sembrare solo un miraggio».

L’agrivoltaico, soluzione che integra la produzione energetica da impianti fotovoltaici con l’attività agricola, è oggi l’unica forma ammessa in area agricola dopo quanto disposto dal Decreto Agricoltura del luglio 2024, che ha vietato il fotovoltaico tradizionale a terra su quei terreni, consentendo solo modelli in sinergia.

«Questa soluzione è ormai l’unica possibile in terreni in area agricola... per cercare di dare una mano al comparto agricolo che da anni ormai soffre difficoltà strutturali enormi e che non riesce purtroppo a trovare una via d’uscita», afferma il referente.

Il contesto in Sardegna rende la questione ancora più urgente. L’isola è, secondo i dati citati nel comunicato, l’area del Mediterraneo maggiormente colpita dagli effetti del cambiamento climatico, con un aumento medio delle temperature di +2°C negli ultimi 40 anni. Le difficoltà per chi lavora la terra sono note: crisi idriche, ondate di calore, grandinate e gelate sempre più frequenti, e un’età media degli agricoltori che supera ormai i sessant’anni.

In questo scenario, i contratti di diritto di superficie per installare impianti agrivoltaici rappresentano una possibile via di uscita: «Per tutti gli agricoltori firmatari di contratti di diritti di superficie sui loro terreni, un’opportunità per poter rimanere nelle loro terre e magari lasciarle ai propri figli». Secondo le cifre fornite, il valore dei contratti oscilla tra i 2.500 e i 4.500 euro per ettaro all’anno, a cui si aggiungono i ricavi della produzione agricola, spesso migliorata dall’introduzione di nuove tecnologie imposte dalle Linee Guida ministeriali.

«Le Linee Guida ministeriali che normano questo tipo di impianti definiscono dei parametri di gestione proficua e profittevole dei terreni che devono essere rispettati lungo tutta la durata di vita dell’impianto, pena la decadenza del titolo autorizzativo».

Non solo: molti progetti già depositati prevedono investimenti in miglioramento fondiario – sistemi di irrigazione, pozzi, pompe di rilancio, concimazioni – interamente a carico delle società energetiche. Ma anche in questo caso, i controlli sono rigorosi: «Nel caso di campi non coltivati o sottocoltivati sono sempre in agguato sanzioni o sospensioni dei titoli autorizzativi».

Secondo Pitzolu, basterebbero 10mila ettari, lo 0,4% della superficie isolana, per raggiungere gli obiettivi della transizione energetica fissati al 2030. «Si stima che ogni anno potrebbero arrivare circa 30 milioni di euro agli allevatori coinvolti, soldi che potrebbero senza dubbio dare un respiro di sollievo alle tante persone che hanno visto e ancora vedono nell’agrivoltaico l’unica possibilità di sopravvivenza».

Il nodo, però, resta anche politico e organizzativo. «È chiaro che in questo schema devono essere parte attiva anche le associazioni di categoria che hanno il compito di accompagnare gli agricoltori attraverso il lungo e complesso percorso di realizzazione di questo nuovo modello di gestione agricola».

Pitzolu conclude con un appello chiaro: «Purtroppo, ad oggi solo poche di queste associazioni sono state dalla parte degli agricoltori (Centro Studi Agricoli è una di queste), ma mancano all’appello le grandi associazioni che potrebbero sicuramente imprimere una spinta comunicativa e politica diversa rispetto a quanto si è visto ad oggi in Sardegna: spinta doverosa se si vuole vedere sopravvivere il settore e se si vuole davvero fare l’interesse dei pastori sardi».

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