Gairo Vecchio, il borgo dove il tempo si è fermato: 73 anni dopo, il ricordo del paese fantasma

  Inquietudine e turbamento. Passeggiare per le strade di Gairo Vecchio, il paese fantasma più famoso della Sardegna, provoca quel senso di angoscia e fascino che solo i luoghi abbandonati sanno suscitare. Impossibile, mentre si cammina tra le antiche mura – sopravvissute al tempo in maniera malconcia –, attraversando i selciati pregni di ricordo, non immaginare quando questo borgo dimenticato era pieno di vita. E allora, nella mente, fanno capolino le signore che camminano con le brocche sulla testa, i bambini che corrono felici, gli uomini che si recano all’orto. Ma oggi nessuna anima ci passeggia più. Nessuna risata di bimbo allieta le mura. Solo il silenzio.

  Cosa avvenne a Gairo Vecchio? Quando il suo cuore smise di battere? Il suo nome pare derivare dal greco e significare “terra che scorre”. Del resto, i primi nubifragi di cui si ha memoria risalgono all’Ottocento: tra frane e smottamenti, la tranquillità non è mai davvero di casa. Eppure, fino al 14 ottobre del 1951, quel borgo arroccato tra le montagne è ancora casa. Poi, tutto cambia. Quella mattina, il cielo inizia a rovesciare una quantità d’acqua impressionante. Ma il peggio deve ancora venire: per giorni e giorni, fino al 19 ottobre, non ci sarà tregua. Un’alluvione entrata nella memoria collettiva, non solo per la violenza, ma per la durata delle piogge che si abbattono su un territorio già provato, già ammaccato. A quel punto gli abitanti non hanno dubbi: bisogna ricostruire altrove. Non è più sicuro restare, anche se il cuore vorrebbe restare aggrappato a ogni pietra. C’è un momento nella vita in cui bisogna abbandonare i propri sentieri per salvarsi, e i gairesi lo sanno.

  Poiché non si trova un accordo, dal borgo nascono altri tre paesi: Gairo Sant’Elena, Gairo Taquisara e Gairo Cardedu (che oggi è semplicemente Cardedu, vicino al mare). Gairo Vecchio, invece, rimane lì, sospesa nel tempo. Oggi è una meta suggestiva, un luogo dove il tempo si è fermato, visitato ogni anno da centinaia di persone. Le sue case spoglie, le finestre senza vetri e le pareti scrostate raccontano la malinconia di ciò che fu e la bellezza struggente di ciò che resta. È un posto dove ritrovare la pace – paradossale, perché nasce dalla perdita. Dove cercare il contatto con la natura. Dove immaginare tempi lontani, persone lontane, atmosfere lontane. E, forse, la sua lezione più profonda è questa: Gairo Vecchio ricorda la potenza indomita della natura, che non può essere addomesticata. Lei stravolge, lei conduce. Noi, alla fine, possiamo solo sottostare alle sue regole.

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