Vedere Roberto Saviano piangere non è solo un’immagine commovente; è lo specchio di una realtà brutale e complessa, dove le organizzazioni criminali non si limitano a inquinare la giustizia, ma imprigionano vite intere, condannando chiunque osi contrastarle a un’esistenza sotto assedio. Non è solo la paura della condanna a morte che le mafie instillano, ma una condanna ben più subdola: quella a un’esistenza senza libertà, vissuta sotto scorta, in un limbo di incertezza e minaccia costante.
Chi vive sotto scorta sa che la libertà è un lusso negato. Inizialmente, la protezione può illudere, far sentire "importanti", ma l'effimera sensazione svanisce presto, lasciando spazio alla consapevolezza che ogni istante potrebbe essere l'ultimo. L'amore, gli affetti più cari, divengono ostaggi invisibili di questa guerra. Si desidera allontanare chi si ama non per disamore, ma per la tragica consapevolezza di metterli in pericolo. La paura di vedere un proprio caro eliminato per mano criminale diventa un compagno costante, una tortura quotidiana che logora l'anima.
La criminalità organizzata non è fatta di figure stereotipate; è un cancro che si annida nel tessuto sociale. Sono i volti insospettabili che incontriamo ogni giorno: imprenditori, politici, professionisti della sanità. Individui "qualunque" che, nell'indifferenza generale, muovono i fili del potere, intoccabili, invisibili eppure onnipresenti. Questi "signori" non sono fantasmi; sono persone in carne e ossa, capaci di tradire e corrompere.
Troppi giornalisti d'inchiesta hanno pagato con la vita la loro sete di verità. Non solo vittime della violenza criminale, ma anche del tradimento di chi credevano amico. Talpe all'interno delle forze dell'ordine, colleghi sorridenti che si rivelano complici o, peggio, spie prezzolate, pronte a vendere una vita per paura o per mero tornaconto. Un giornalista che indaga sa a cosa va incontro, specialmente quando calpesta i piedi di chi detiene il potere criminale.
Il pianto di Roberto Saviano è un pianto liberatorio, sì, ma è anche la consapevolezza bruciante che la sua non è una finzione cinematografica. Non è un attore che muore per gioco; è un uomo che ogni giorno fa i conti con la possibilità che una minima disattenzione possa costargli la vita. È il lamento di chi si chiede perché tutto ciò stia accadendo proprio a lui, di chi non credeva di poter provare una paura così viscerale, una paura che trasforma ogni ombra in una minaccia.
Oggi, il mafioso sa bene che il potere di un singolo giornalista, la forza dirompente dei media, può scatenare una guerra mediatica contro le loro organizzazioni. I mille pentiti e le quattromila persone sotto scorta sono la prova tangibile di una battaglia che, seppur sanguinosa, vede anche lo Stato resistere con forza. Questa non è una partita a senso unico: se il potere criminale è robusto, lo Stato non è da meno, e chiunque pensi di uscirne indenne si illude. Nessuno che si sporca le mani con la mafia può sperare di restare "pulito".
Questa è la realtà di chi è in prima linea in Italia: giornalisti, poliziotti, agenti di scorta, magistrati dell'Anticorruzione e dell'Antimafia. Uomini e donne che quotidianamente affrontano la minaccia della criminalità organizzata, consapevoli che il prezzo della verità può essere altissimo, ma determinati a non cedere.