L’Italia ha sempre avuto un rapporto complicato con le mode imposte dall’alto. In nome del progresso si sono sacrificati boschi, coste, paesaggi. Ora, con l’ennesimo slancio ecologista a comando, si rischia di sacrificare anche il mare. E a dirlo, questa volta, non è un nostalgico del passato o un negazionista del cambiamento climatico, ma Gennaro Scognamiglio, presidente nazionale dell’Unci AgroAlimentare, che non usa giri di parole: “L’installazione di impianti per l’energia eolica in mare appare un’ipotesi poco praticabile, con un notevole impatto sull’ambiente e che costituisce l’ennesimo problema scaricato sulla pesca e sui lavoratori del settore”.
Parole nette, pronunciate all’indomani del vertice tenutosi a Roma, presso la Direzione generale della Pesca, sul futuro delle infrastrutture eoliche. Il timore, più che fondato, è che la transizione ecologica – più sbandierata che realizzata – venga nuovamente pagata da chi vive di mare.
Scognamiglio non nega l’importanza di una svolta verde, ma invita a usare la testa: “Mentre da anni si discute con toni molto critici dei parchi eolici sulla terra ferma, rispetto ai quali ad opporsi sono cittadini, enti locali e associazioni ambientaliste, a causa del notevole impatto che determinano sul paesaggio, delle potenziali implicazioni negative per la salute delle persone per effetto dell’inquinamento elettromagnetico ed acustico [...] c’è chi immagina di poter incrementare la realizzazione di impianti offshore, non prendendo affatto in considerazione le eventuali ricadute negative di installazioni in mare aperto”.
In mare, avverte il presidente, gli effetti sarebbero ancor più devastanti. Flora e fauna già compromesse dall’inquinamento verrebbero ulteriormente aggredite, le attività di pesca ostacolate, l’intero equilibrio della biodiversità marittima stravolto.
Non si tratta, chiarisce, di opposizione ideologica: “Da parte nostra nessuna posizione pregiudiziale, ma non si può non rilevare che tutto ciò avviene in Italia dopo decenni di incalzante estensione delle superfici destinate a parchi eolici [...], che però riescono a soddisfare soltanto una minima parte delle esigenze energetiche della comunità, costituendo meno del 10% dell’intera produzione, nonostante gli ingenti finanziamenti di risorse pubbliche”.
Il punto è semplice: se l’energia eolica produce poco, costa tanto e distrugge habitat già fragili, vale davvero la pena piantare turbine anche nel Mediterraneo? Soprattutto se, come ricorda Scognamiglio, “altrove si sta mettendo in dubbio una simile strategia, anche per il problema dello smaltimento delle turbine da dismettere [...], costruite con materiali difficilmente riciclabili, e che durante il funzionamento rilasciano microplastiche contenenti Bisfenolo A nell’ambiente marino”.
Serve realismo, non utopia. E magari un pizzico di buon senso. “Appare quindi molto più sensato investire su fonti energetiche rinnovabili, con costi più ridotti, una resa superiore e maggiormente sostenibili”, suggerisce Scognamiglio, che chiude con un appello sobrio ma fermo: “Confidiamo pertanto in una valutazione sulla questione da parte del governo che sia adeguata, prudente e realmente lungimirante”.
Il silenzio del mare, una volta compromesso, non si recupera. E non ci sarà transizione che tenga.