Quando il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, si rivolge ai cittadini italiani parlando di lavoro, lo fa con il tono solenne di chi evoca non solo un diritto, ma una promessa fatta dalla nostra Costituzione. "Il lavoro è un diritto, è dignità, è inclusione," così ha affermato durante la "Civil Week", citando l'articolo 1 della nostra Carta, che vede nel lavoro non solo un'attività economica ma il fondamento stesso della Repubblica.
È indubbio che, almeno sulla carta, l'Italia si dipinge con i tratti di una nazione che pone il lavoro al centro della sua vita civile, un pilastro su cui si regge l'edificio della dignità personale. Tuttavia, osservando la realtà che ci circonda, non si può fare a meno di chiedersi: quanto di questa retorica risuona veramente nelle strade, nelle fabbriche, negli uffici del nostro Paese?
La risposta, purtroppo, è tanto scontata quanto amara. In un'Italia ancora alle prese con le cicatrici di una crisi economica che sembra non voler mai finire, dove il tasso di disoccupazione giovanile naviga in cifre che fanno rabbrividire, la realtà del lavoro come diritto assicurato appare come un miraggio, quasi un lusso per pochi fortunati e per stipendi spesso indegni.
Il lavoro, invece di essere un diritto accessibile, si trasforma spesso in una corsa ad ostacoli, un'arena dove giovani e meno giovani lottano per un contratto a termine, per una posizione precaria che li escluda momentaneamente dall'armata dei disoccupati o, peggio, degli invisibili.
Quando poi il Presidente cita l'articolo 3, sottolineando come lo Stato debba rimuovere gli ostacoli che impediscono di raggiungere una piena dignità attraverso il lavoro, non possiamo non pensare a quanto questo principio sia ancora lontano dall'essere realizzato. Non si tratta solo di generare opportunità di lavoro, ma di creare lavoro di qualità, che possa realmente essere strumento di inclusione e di dignità.
Il discorso di Mattarella, pur nobilmente intenzionato, rischia di suonare come una solenne dichiarazione d'intenti più che come il preludio a un'azione concreta. La verità è che tra il dire e il fare, tra la Costituzione e la realtà, ci sono di mezzo non solo il mare ma un oceano tempestoso di burocrazia, inefficienze, ritardi e, non ultimo, una certa dose di miopia politica.
In questo contesto, è fondamentale che le parole del Presidente non rimangano un eco lontano o una citazione ad effetto durante cerimonie ufficiali. È imperativo che diventino la bussola per una politica del lavoro coraggiosa, innovativa, che non si limiti a gestire l'emergenza, ma che punti a ristrutturare il sistema lavorativo del Paese su basi solide, moderne e veramente inclusive.
Mattarella ha ragione: il lavoro è diritto, dignità e inclusione. Ma perché queste parole non rimangano un pio desiderio, è tempo di passare dalle parole ai fatti. E in fretta.