Cala Goloritzè violata dai ricchi cafoni. Il Comune: “Non lo permettiamo a nessuno”

Ci sono luoghi in cui il denaro dovrebbe tacere. Cala Goloritzè, per esempio. Ma a certi signori abituati a confondere la Sardegna con Saint-Tropez nessuno ha insegnato che l’eleganza, prima ancora che un abito, è una forma di rispetto.

È accaduto tutto in poche ore. La baia – una delle più belle del Mediterraneo, tutelata, regolamentata, gelosamente custodita dagli abitanti di Baunei come un altare naturale – si è ritrovata colonizzata da una tavola imbandita, sedie, ombrelloni, forse pure qualche flute di prosecco. I protagonisti? L’equipaggio di uno yacht sbarcato all’alba, evidentemente convinto che la bellezza si compri a colpi di carte Platino e che la legge sia una seccatura riservata ai poveri.

Scena classica, ma con la sfacciataggine dei nuovi padroni del mondo. Quelli che, usciti dal porticciolo con il cappellino Ralph Lauren e l’aria di chi ha vinto alla lotteria del privilegio, pensano che ogni lembo di sabbia gli debba obbedienza. E invece no.

«Non prestiamo la spiaggia in esclusiva a nessuno», ha dichiarato senza giri di parole il Comune di Baunei. E ha fatto bene a dirlo. Perché Cala Goloritzè è un patrimonio collettivo, non il dehor estivo dei nababbi in infradito. Il Comune ha pubblicato anche la foto dello scempio: un’immagine che grida più di un editoriale.

Per fortuna, i vigilanti incaricati della tutela della cala non sono rimasti a guardare. Hanno fatto quello che ogni amministrazione civile dovrebbe fare: ristabilire l’ordine, far sloggiare i cafoni con yacht, e restituire alla collettività ciò che appartiene a tutti.

La scena si ripete ogni estate: l’assalto ai luoghi simbolo, la volgarità di chi confonde lusso con impunità, il bisogno di farsi notare in mezzo a una natura che già parla da sé. E ogni volta bisogna ribadirlo: la Sardegna non è una colonia estiva, non è una vetrina da arredare con le stoviglie del catering.

Il mare non è vostro. La sabbia non è vostra. E soprattutto, non lo è Cala Goloritzè. Chi vuole mettersi a tavola, lo faccia a casa propria. Qui, si viene in silenzio. E si chiede permesso.

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