Era il maggio del 1995, quando la Sardegna viveva uno dei suoi periodi più bui. Un’isola stretta nella morsa dei sequestri di persona, con bande di criminali pronti a colpire ovunque. Quel mattino, però, qualcosa cambiò. Vanna Licheri, imprenditrice agricola di Abbasanta, non tornò più a casa. Un sequestro anomalo, diverso dagli altri. Un sequestro che segnò profondamente la comunità e lasciò un vuoto che non si è mai colmato.
La mattina dell’8 maggio, Vanna arrivò nella sua azienda alle 5. Come ogni giorno, con la stessa dedizione. Scese dall’auto senza immaginare che qualcuno la stesse aspettando. I banditi la immobilizzarono, la spinsero su una Lancia Thema e sparirono nel nulla. Da quel momento, solo silenzio. Un silenzio assordante, fatto di speranze infrante e paure crescenti.
Quegli anni erano un incubo per l’isola. Pochi giorni dopo il sequestro di Vanna, l’Anonima Sequestri colpì di nuovo, portando via Ferruccio Checchi. Ma il caso di Vanna Licheri restò diverso, anomalo. Non si trattava di una famiglia ricca. Non c’era un patrimonio da difendere, né grandi somme su cui i banditi potessero contare. Il marito di Vanna era un ex dipendente dell’Ersat, in pensione. La loro era una famiglia normale, forse un po’ più agiata della media, ma niente che giustificasse un sequestro.
Eppure, proprio Vanna non tornò più a casa. Al contrario di altri prigionieri, rilasciati dopo il pagamento di riscatti o grazie all’intervento delle forze dell’ordine, lei trovò la morte durante la prigionia. Una tragedia che colpì l’intera comunità, lasciando molti interrogativi senza risposta. Perché lei? Perché una famiglia senza grandi risorse fu colpita in quel modo?
Le indagini cercarono risposte, ma il sequestro di Vanna Licheri restò un caso emblematico di quel periodo oscuro. Un’epoca in cui la paura era quotidiana, in cui le famiglie vivevano con il terrore di vedere i propri cari portati via nella notte. Le campagne sarde, da luoghi di lavoro e speranza, si erano trasformate in prigioni nascoste, dove il destino delle vittime spesso veniva deciso nel silenzio.
La morte di Vanna rappresenta ancora oggi una ferita aperta. Una donna che si alzava all’alba per portare avanti la sua azienda, che non apparteneva a quel mondo di grandi ricchezze, eppure finì vittima di una spirale di violenza che non guardava in faccia a nessuno.
Il ricordo del suo sacrificio resta vivo. È il simbolo di un’epoca che l’isola ha cercato di lasciarsi alle spalle, ma che non può dimenticare. Perché Vanna Licheri non è solo una vittima: è la testimonianza di quanto il crimine organizzato possa colpire chiunque, anche chi crede di essere al sicuro nella quotidianità di una vita semplice.