Referendum sulla cittadinanza: il quesito ammesso dalla Consulta e le polemiche

  La Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibile il quesito referendario che propone di ridurre da dieci a cinque anni il periodo di residenza legale continuativa necessario per richiedere la cittadinanza italiana. Una decisione destinata a far discutere, soprattutto in un momento storico in cui il tema dell’immigrazione e dell’integrazione divide l’opinione pubblica. Il referendum, promosso da forze politiche e associazioni di sinistra come Più Europa, Radicali italiani e Rifondazione Comunista, raccoglie il sostegno di una parte del Parlamento e della società civile, ma solleva forti perplessità per le sue implicazioni. 

  Il quesito punta a modificare l’articolo 9 della legge n. 91 del 1992, basata sul principio dello ius sanguinis. Attualmente, la cittadinanza italiana può essere richiesta solo dopo dieci anni di residenza legale, mentre chi nasce in Italia da genitori stranieri deve risiedere ininterrottamente nel Paese per diciotto anni prima di poter avanzare domanda. La proposta, se approvata, dimezzerebbe i tempi richiesti, allineandoli a quelli di alcuni Paesi europei. Il comitato promotore ha raccolto oltre 637.000 firme, un numero significativo che ha spinto la Corte Costituzionale a esprimersi. La data del voto sarà fissata tra il 15 aprile e il 15 giugno, in concomitanza con altri referendum ammessi, ma resta forte il dibattito sull’opportunità di una modifica così radicale. I promotori esultano. “La nostra gioia in questo momento è immensa: stiamo facendo la storia. Questo referendum rappresenta l’uscita da uno stallo che dura da oltre trent’anni e un messaggio forte per la nostra democrazia”, affermano in una nota, chiedendo che il voto si tenga in concomitanza con le elezioni amministrative per garantire una maggiore affluenza. Non mancano però le critiche.

  Ridurre a cinque anni il requisito di residenza potrebbe compromettere il valore della cittadinanza italiana, trasformandola in un riconoscimento superficiale. Le conseguenze di una simile scelta rischiano di alimentare tensioni sociali in un contesto già delicato, mettendo in discussione la coesione nazionale e i valori fondanti della Repubblica. Il quesito proposto elimina la necessità di dieci anni di residenza legale, sostituendola con un periodo di cinque anni. Una modifica che, secondo i promotori, favorirebbe l’integrazione, ma che per molti osservatori rischia di accelerare un processo senza garantirne i requisiti di merito. Il segretario di Più Europa, Riccardo Magi, ha dichiarato che “il nostro appello oggi è rivolto alle istituzioni affinché si adoperino per garantire la massima partecipazione al voto e per evitare che questo appuntamento venga cancellato dal dibattito pubblico”. La cittadinanza, come principio cardine dello Stato, merita una riflessione seria e non emotiva. La decisione finale spetta agli elettori, chiamati a scegliere se confermare o respingere una proposta che potrebbe segnare un punto di svolta nel rapporto tra Stato e nuovi cittadini.

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