Scuole aperte, scuole nuove: la Sardegna prova a ripensare l’istruzione

La Regione mette sul tavolo oltre cinque milioni di euro per un progetto dal nome che sembra una promessa: “Scuole aperte, scuole nuove”. Il titolo fa pensare a un Rinascimento dell’istruzione, a un ritorno della scuola come cuore pulsante del paese. L’idea è buona, quasi ovvia: aprire le scuole al territorio, farle dialogare con famiglie, associazioni, servizi sociali, perfino con chi la scuola l’ha lasciata troppo presto. In pratica, restituire alla scuola quel ruolo di presidio civile che un tempo aveva, quando l’aula non finiva al suono della campanella.

Dietro la formula ci sono tre assessori regionali: Giuseppe Meloni, Desirè Manca e Ilaria Portas. Tre firme, tre visioni convergenti. Meloni parla di “rafforzare il ruolo della scuola come presidio di crescita e coesione”. Manca aggiunge che “nelle realtà periferiche la scuola è spesso l’unico punto di riferimento pubblico”. Portas, più idealista, dice di credere “in una scuola viva e aperta, che investa sul benessere educativo dei giovani”. Tutti concetti nobili, che però la storia recente invita a maneggiare con prudenza: di progetti nati per “contrastare la dispersione” o “rafforzare il legame col territorio” ne sono passati tanti, e non tutti hanno lasciato tracce visibili.

I fondi – oltre 5,1 milioni di euro – arrivano in parte dal FESR, il Fondo europeo per lo sviluppo regionale (2,1 milioni), e in parte dal FSE Plus, il Fondo sociale europeo (3 milioni). In altre parole, soldi dell’Europa che la Regione dovrà spendere bene e presto, pena la solita beffa dei finanziamenti restituiti perché non rendicontati in tempo. La gestione è affidata alla Direzione generale della Pubblica Istruzione, che coordinerà gli interventi con i Comuni, i servizi sociali e il terzo settore.

L’obiettivo è far nascere nelle scuole dell’isola – soprattutto in quelle dei paesi dimenticati – piccoli centri civici: luoghi dove si possa studiare, ma anche incontrarsi, fare sport, teatro, musica, orientamento. In una parola: comunità. Un concetto che sa di Aristotele, quando definiva l’uomo un animale politico, cioè un essere che ha bisogno della polis per compiersi. Solo che la polis di oggi è spesso una scuola con l’intonaco scrostato e il riscaldamento in panne.

Il principio è giusto: la scuola non deve essere un fortino chiuso tra le 8 e le 14. Ma il rischio è che, come spesso accade, l’entusiasmo iniziale si perda nei meandri della burocrazia, tra piani educativi integrati e tavoli di coordinamento che si riuniscono ogni morte di papa. In Sardegna, le buone idee non mancano: manca la costanza.

Dunque sì, le scuole saranno “aperte” e “nuove”. Ma serviranno insegnanti motivati, dirigenti capaci, famiglie presenti. E soprattutto, meno convegni e più gessetti. Perché il futuro non lo si costruisce con i comunicati stampa, ma dentro quelle aule dove i ragazzi imparano ancora – quando va bene – a leggere, a scrivere e a pensare con la propria testa.

Il resto, per ora, resta una promessa. E la Sardegna, di promesse sull’istruzione, ne ha sentite fin troppe.

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