Catania ha visto nascere realtà agricole, cooperative, movimenti di protesta.
Ma raramente ha visto nascere una lingua nuova. È questo che è accaduto il cinque dicembre, quando la firma del Centro Studi Agricoli Sicilia ha sancito l’avvio di una nuova associazione, insieme, si spera, alla restituzione di una voce al comparto agricolo più ferito d’Italia.
Il CSA Sicilia nasce come federazione del Centro Studi Agricoli Sardegna, guidato da Tore Piana, ed è un’operazione che, per profondità politica e conseguenze future, va ben oltre la dimensione tecnico-associativa: è un atto di autodifesa di un territorio che non vuole più farsi rappresentare da chi non abita la fatica dei campi, le perdite, i prezzi al ribasso, la burocrazia che soffoca più della siccità.
La mattina, in una Catania attraversata dai venti di una crisi agricola che non accenna a rallentare, è stato ufficializzato il nuovo Centro Studi Agricoli Sicilia. Seduti al tavolo della fondazione c’erano:
– Tore Piana, presidente,
– Stefano Ruggiu, vicepresidente,
– Monica Pisanu, responsabile amministrativa,
insieme a Francesco Sgroi, agricoltore e allevatore del Catanese, e ad altri imprenditori agricoli che rappresentano la pluralità produttiva siciliana: agrumi, allevamenti bovini, ovini, cereali. Le filiere che in Sicilia sostengono interi paesi, e che oggi barcollano sotto prezzi che non coprono nemmeno i costi.
La nascita del CSA Sicilia risponde alla domanda più importante che un territorio in difficoltà possa porsi: chi parla davvero per noi?
Nel pomeriggio, l'incontro pubblico ha misurato la temperatura reale del settore. Una sala gremita, amministratori locali, sindaci, e soprattutto un centinaio di agricoltori e allevatori venuti non per ascoltare retorica, ma per verificare se valesse la pena tornare a credere in qualcuno.
Ha aperto i lavori Francesco Sgroi, coordinatore regionale designato, dicendo ciò che in Sicilia nessuno ha il coraggio di ripetere per non disturbare: «In Sicilia manca da troppo tempo una reale informazione agricola. […] Vogliamo portare qui il modello Sardegna, fatto di trasparenza, concretezza e vicinanza quotidiana alle aziende agricole.»
Sgroi non ha edulcorato nulla. Ha elencato numeri che fotografano un collasso:
– latte ovino a 1,20 € litro,
– agrumi pagati 40 centesimi al chilo,
– grano duro a 20 euro/quintale,
– vino e olio ai minimi storici,
– brucellosi e tubercolosi che paralizzano la mobilità degli animali.
Non sono dati. Sono famiglie in bilico.
L’intervento di Tore Piana ha spostato l’assemblea su un piano più alto: quello geopolitico dell’agricoltura. Perché oggi le isole non competono con le regioni vicine, ma con Bruxelles, con i mercati globali, con i costi strutturali dell’insularità. «Siamo due grandi isole con gli stessi problemi e con gli stessi costi maggiorati. […] È fondamentale che Sicilia e Sardegna si presentino unite a Bruxelles per rivendicare un vantaggio reale.»
Questa è la lettura che mancava: la consapevolezza che Sicilia e Sardegna valgono solo se agiscono come blocco insulare, non come frammenti regionali in ordine sparso.
Il passaggio sulla PAC 2028–2034 è stato netto:
i prossimi mesi non saranno una contrattazione amministrativa, ma la battaglia esistenziale per difendere l’agricoltura delle isole dai costi strutturali che la penalizzano da decenni.
L’intervento dell’Europarlamentare Marco Falcone ha dato una dimensione istituzionale all’incontro: «Questa iniziativa rappresenta una nuova speranza per gli agricoltori siciliani […] Avrete il mio supporto politico in tutte le sedi opportune.»
Falcone non ha fatto promesse. Ha fatto un impegno pubblico, cosa che nel lessico politico siciliano è più rara di un prezzo del latte equo.
Sono poi intervenuti Ruggiu, Pisanu, il Cav. Sebastiano Toso e l’agronomo Rizzo.
I temi? Prezzi crollati, agrivoltaico, blocchi sanitari, aziende allo stremo. Tutto raccontato con una precisione che restituisce verità al dibattito agricolo, troppo spesso derubricato a tema di nicchia.
Sgroi ha annunciato il primo gruppo dirigente del CSA Sicilia e un cronoprogramma serrato: estensione in tutte le province siciliane entro sei mesi, con incontri territoriali, raccolta delle istanze e costruzione di una rete solida.
Non un progetto: una road map. Il CSA Sicilia chiarisce anche la sua postura rispetto al sistema esistente: «Non entriamo in competizione con le organizzazioni agricole tradizionali […] Vogliamo inaugurare una nuova forma di assistenza, più diretta, libera, trasparente.»
Un posizionamento maturo, che indica un modello complementare, non antagonista.
La nascita del Centro Studi Agricoli Sicilia può rappresentare l’inizio di un linguaggio nuovo: analitico, territoriale, competente. Un linguaggio che riporta al centro l’agricoltore come soggetto politico, non come destinatario passivo di bandi e ristori.
Da Catania parte una sfida: trasformare il dolore agricolo in rappresentanza, e la rappresentanza in forza negoziale.