A Lecce il Cagliari ha vissuto una di quelle serate che, se non ci
fosse il tabellino a ricordarlo, sarebbe difficile da raccontare senza
sembrare contraddittori. Perché in novanta minuti si sono viste due
squadre in una: la prima, imbarazzante, capace di far rimpiangere
persino le peggiori retroguardie anni ’90; la seconda, coraggiosa,
cinica e con la faccia di chi finalmente ricorda di essere in Serie A. Il
risultato finale dice 1-2, ma la trama del film è stata molto meno
lineare.
Il Lecce è partito come se avesse qualcosa di personale contro il
Cagliari. Dopo appena cinque minuti Coulibaly ha già messo la
firma sul match, trovando una difesa rossoblù piazzata come in gita
scolastica. Caprile ha potuto solo guardare il pallone finire in rete e
chiedersi se fosse stato informato dell’orario corretto del fischio
d’inizio. E da lì, i primi trenta minuti sono stati una sfilata di errori, di
linee scomposte, di palloni persi con leggerezza. L’impressione era
che la squadra di Pisacane avesse deciso di entrare in campo con
mezz’ora di ritardo.
Poi, come spesso accade nel calcio, è bastato un episodio a
cambiare il corso della partita. Al minuto 33, Folorunsho inventa un
corridoio degno di un architetto e Palestra, indemoniato sulla
destra, pesca Belotti che da rapace d’area ritrova l’istinto dei tempi
migliori. È l’1-1, ma soprattutto è il momento in cui il Cagliari smette
di guardarsi allo specchio con vergogna e comincia a pensare che
forse, sì, la trasferta a Lecce può avere un senso.
Da lì fino all’intervallo i rossoblù prendono fiducia, spingono,
colpiscono due pali con Esposito e costringono i giallorossi a
ripiegare. Il Lecce, partito con entusiasmo, capisce che il Cagliari
non è più la comparsa spaesata dei primi minuti, ma un avversario
deciso a mettere radici nella partita. L’intervallo arriva quasi come
un sollievo per la squadra di casa e una fastidiosa interruzione per
gli ospiti.
Il secondo tempo, però, ricomincia con lo stesso copione del primo.
Per venti minuti abbondanti il Cagliari torna ad annaspare, incapace
di costruire, lasciando metri e iniziativa al Lecce. Pisacane in
panchina sembra rivivere un déjà-vu: i suoi uomini, coraggiosi fino a
poco prima, si riscoprono molli e distratti, come se la pausa fosse
servita a resettare ogni progresso. È in quei momenti che il
fantasma del vecchio Cagliari, quello rassegnato e arruffone, fa
capolino.
Poi arriva l’episodio che decide la partita. Minuto 71: Felici, appena
entrato, mette il turbo e serve Belotti, che con mestiere si prende un
rigore tanto cercato quanto inevitabile. Dal dischetto, il Gallo non
trema: davanti a Falcone, uno dei migliori pararigori del
campionato, calcia con freddezza e manda in delirio i compagni. È
1-2, e questa volta il Cagliari capisce che non può permettersi di
buttare via un vantaggio così sudato.
La gestione finale, pur con
qualche sbavatura, è di quelle che danno fiducia. Il Lecce si
spegne, il Cagliari si compatta e porta a casa tre punti che
profumano di riscatto.
Certo, restano le ombre. La difesa è ancora fragile, con Luperto e
Obert che hanno alternato interventi di sostanza a momenti di puro
smarrimento. Prati a centrocampo ha confermato che la regia non è
ancora il suo vestito naturale: l’impegno c’è, la qualità pure, ma la
continuità manca e si nota. Zappa, entrato nel finale, ha dimostrato
che il problema non è il minutaggio ma la concentrazione: se
l’approccio è questo, Pisacane dovrà riflettere su quanto possa
essere affidabile in partite più delicate.
Eppure, a bilanciare le criticità, ci sono stati protagonisti che hanno
inciso. Palestra sulla fascia ha corso come se non esistesse il
concetto di stanchezza, trasformando la corsia destra in
un’autostrada rossoblù. Folorunsho ha messo muscoli e visione
dove serviva, mentre Esposito ha mostrato di essere ormai
qualcosa di più di una promessa: i due pali colpiti gridano vendetta,
ma la prestazione resta da applausi. E poi Belotti, che ha deciso la
gara con la freddezza di chi non ha alcuna intenzione di farsi
etichettare come ex giocatore. Il suo ritorno da protagonista è la
notizia migliore per un Cagliari che ha bisogno come l’aria di un
centravanti capace di segnare e guidare i compagni.
La vittoria, al netto delle difficoltà, pesa molto. Porta il Cagliari a
quota sette punti, frutto di un percorso che racconta di una squadra
ancora in costruzione ma con una sua anima riconoscibile.
Pisacane, dal canto suo, si prende i complimenti, anche se sa bene
che certi blackout non sono sostenibili alla lunga.
Non tutte le
partite si possono raddrizzare con un episodio o con il rigore del
vecchio leone di turno.
Il finale della serata a Lecce, allora, è un concentrato di contrasti:
da un lato la gioia per tre punti conquistati con carattere, dall’altro la
consapevolezza che il lavoro da fare è ancora tanto. Ma questa è
forse la fotografia più sincera del Cagliari di oggi: una squadra che
inciampa e si rialza, che sbaglia e si corregge, che si lascia andare
a momenti imbarazzanti ma sa anche graffiare quando conta. E in
un campionato lungo e difficile, la capacità di rialzarsi potrebbe
contare quanto – se non più – la qualità del gioco.
Alla fine, forse, la morale è questa: non sarà un Cagliari per deboli
di cuore, ma se continua a trasformare l’imbarazzo in riscatto, i
tifosi possono anche accettare di soffrire. Purché poi, come a
Lecce, il tabellino sorrida.