Da più di cinquant’anni, in località Prato Comunale, alle porte di Sassari, c’è un capannone agricolo. Prima ospitava galline ovaiole, oggi suinetti. E qui comincia la disputa: per qualcuno è sviluppo agricolo, per altri è un pugno nello stomaco al paesaggio.
Il Centro Studi Agricoli, intervenuto per chiarire la vicenda, mette le carte in tavola: l’allevamento non è nato ieri. La struttura è storica, sorge in zona “E” agro, cioè destinata alle attività rurali, e ha ottenuto tutte le autorizzazioni sanitarie, ambientali e urbanistiche. Dentro ci sono oltre 700 suinetti, che diventeranno 2.500 entro novembre. Non si parla di ingrasso finale, ma di “accrescimento”: i piccoli arrivano da altri allevamenti sardi, pesano circa sette chili e restano per una cinquantina di giorni, fino a raggiungere i trentacinque. Poi ripartono verso altri impianti dell’isola.
«La Sardegna importa l’80% della carne suina che consuma — ricorda il Centro Studi Agricoli — da Germania, Francia e Olanda. È bene sapere cosa mangiamo.» Un’affermazione che punta il dito su una realtà spesso ignorata: l’isola non è autosufficiente neppure per i suoi prosciutti.
Certo, l’allevamento è intensivo, ma — assicurano — non è una prigione per animali. I suinetti vivono su lettiera di paglia, in ambienti chiusi ma puliti, controllati e protetti da malattie. Un mondo che si vorrebbe lontano dagli stereotipi delle fabbriche di carne.
Il Centro Studi Agricoli ammette però che le preoccupazioni dei residenti non sono campate in aria. Prato Comunale è una zona olivicola, con case, aziende, agriturismi. Odori, reflui e rumori possono diventare un problema se manca il dialogo. Per questo l’associazione propone un tavolo tecnico: trasparenza, monitoraggio e confronto continuo tra azienda, cittadini e istituzioni.
In fondo, il punto è uno solo: trovare un equilibrio tra sviluppo agricolo e qualità della vita. Che in Sardegna, come altrove, è sempre più difficile. E spesso, più che nel letame, il problema si annida nella cattiva comunicazione.