I docenti sardi precari sono stati messi ancora una volta all'angolo da un sistema che non riconosce né la geografia né il buonsenso. La discriminazione è palese: per sostenere le prove orali, questi docenti devono lasciare l'isola, affrontare costi esorbitanti e subire disagi che i loro colleghi peninsulari possono evitare con un semplice biglietto di treno da 30 euro. Una differenza non da poco, che grava in modo sproporzionato su di loro.
Come ha giustamente sottolineato l'assessora regionale della pubblica istruzione, Ilaria Portas, «Un insegnante sardo invece deve spendere il doppio del tempo in viaggio, prendere un aereo, e ciò non ha lo stesso prezzo di un treno, né la stessa frequenza di tratte, e sicuramente deve poi dormire fuori casa. Oltre al denaro e al tempo – aggiunge - consideriamo anche il disagio che tutto questo crea al docente e alla sua famiglia».
E ancora, questa situazione mette in luce come le specificità isolane siano costantemente trascurate nelle politiche nazionali.
Non è soltanto una questione di logistica o di economia, ma un vero e proprio caso di negligenza istituzionale che penalizza chi vive e lavora in Sardegna. L'assessora Portas promette di stare al fianco dei docenti in questa battaglia e di avviare interlocuzioni con il MIUR per risolvere definitivamente questa ingiustizia. Ma le promesse non bastano più.
Questa situazione esige un cambio di rotta immediato.
È ora che il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca si svegli e inizi a trattare i docenti sardi con l'equità che meritano. La scuola dovrebbe essere un luogo di uguaglianza e di opportunità per tutti, indipendentemente dalla propria provenienza geografica. Non è accettabile che nel 2024 questa battaglia debba ancora essere combattuta.