Il carcere, quell'istituzione vecchia quanto l'umanità, sta vivendo una crisi di identità. Non più solo luogo di espiazione delle colpe, ma sempre più spesso teatro di pratiche che rasentano il trattamento sanitario obbligatorio.
Giuseppe Maria Meloni, portavoce dell'iniziativa Piazza delle Carceri e della Sicurezza del cittadino, ci ricorda un punto cruciale: “Il carcere non è solo una pena, esso costituisce di fatto una forma di trattamento per i soggetti affetti da varie patologie."
In una società che si dibatte tra il rispetto dei diritti umani e l'efficacia del sistema penale, l'istituzione carceraria sembra essere diventata un ospedale de facto per malattie mentali e dipendenze. Si utilizza metadone, si prescrivono psicofarmaci a mani basse, e tutto ciò avviene in un ambiente dove, a quanto pare, il diritto alla salute prende una piega decisamente controversa.
La legge dice che nessuno può essere obbligato a un trattamento sanitario se non per disposizione di legge, ma nel contempo, la vita dietro le sbarre sembra seguire un codice meno chiaro e decisamente più arcaico.
La questione che Meloni solleva è spinosa: il carcere, in molti casi, non riesce a essere né un luogo di pena efficace né un ambiente di cura rispettoso. "Le stesse persone che soffrono di queste dipendenze o che comunque sono affette da queste patologie, perdono la loro libertà di scelta, e, quindi, contro la loro volontà, e senza nemmeno il consenso dei soggetti che si occupano degli individui con ridotte o assenti capacità, si trovano di fatto ad essere obbligati a sottoporsi a tale trattamento del carcere, trattamento che non cura e che spesso non risulta essere minimamente compatibile con il rispetto della persona umana."
Inoltre, la correlazione tra criminalità e patologie psichiatriche o dipendenze è un dato di fatto, complicando ulteriormente il dibattito sulla reclusione come metodo di rieducazione. Se il carcere fallisce nel suo intento rieducativo, cosa resta della sua funzione nella società moderna?
La risposta, tristemente, sembra essere un circolo vizioso di recidiva e trattamento inadeguato, un loop infinito che non fa altro che produrre ulteriori vittime, sia tra coloro che sono incarcerati sia nella società che dovrebbe essere protetta.
In quest'ottica, il carcere diventa una soluzione pratica, quasi un modo per spazzare sotto il tappeto le questioni più complesse della nostra società, evitando di affrontare le vere cause della criminalità e del disagio psichico. Forse è giunto il momento di riconsiderare il modello di carcere che abbiamo ereditato dal passato, per trasformarlo in qualcosa che possa veramente rispondere alle esigenze di giustizia e cura del XXI secolo.