L'introduzione di test psico-attitudinali per i magistrati solleva un dibattito importante all'interno del sistema giudiziario italiano, come evidenziato dalle dichiarazioni del segretario generale dell'Associazione Nazionale Forense (Anf), Giampaolo Di Marco. Secondo Di Marco, la necessità di tali test riflette una preoccupazione comprensibile riguardante la capacità dei magistrati di gestire responsabilità significative che impattano direttamente sulla libertà individuale, la proprietà privata e la vita delle persone. Questo dibattito non si riduce a una questione politica momentanea ma solleva interrogativi sulle modalità di selezione e valutazione delle risorse umane all'interno della magistratura.
La "mediaticità" crescente dell'attività giudiziaria, secondo Di Marco, ha reso il sistema giustizia più suscettibile a influenze esterne, minando l'indipendenza e l'integrità del giudicare. L'Anf suggerisce che qualsiasi intervento sul sistema giudiziario dovrebbe essere considerato non solo alla luce di possibili errori passati ma anche come un'opportunità per rafforzare le competenze e l'idoneità di chi aspira a diventare magistrato, accettando le sfide e i sacrifici che tale ruolo comporta.
Le perplessità sollevate riguardano anche il momento in cui i test dovrebbero essere effettuati: dopo il superamento del concorso, come attualmente previsto, o prima, per garantire fin dall'inizio la selezione delle figure più adatte a ricoprire ruoli così delicati. La questione della possibile incostituzionalità della misura, in assenza di una specifica previsione normativa che la regoli, aggiunge ulteriore complessità al dibattito, evidenziando la necessità di un'approfondita riflessione sulle modalità di selezione e valutazione dei magistrati nel sistema giudiziario italiano.